Timmari e la diga S.Giuliano

Sulle tracce dei cinghiali _ 25 novembre 2007 

 
Nell’iscrivermi all’escursione pensai se saremmo stati così fortunati da avvistare, oltre alle orme, anche un cinghiale. Seppur lontanamente, rubare qualche secondo della sua vita selvaggia prima di vederlo sparire nel fitto della boscaglia. In vero, prima ancora, ad attirarmi era stata l’inconsapevolezza dei luoghi. Pur poco distante dalla città, il colle di Timmari (fatta eccezione per la zona turistica e commerciale) era luogo sconosciuto.

Le bellezze del suo bosco e l’impervietà dei suoi sentieri erano argomento di discussione con gli amici fuoristradisti  interessati più agli aspetti tecnici che paesaggistici. Così ho deciso di parteciparvi e, di buona lena e con tanto entusiasmo, al seguito di un’ottima compagnia, mi sono immerso nella grigia foschia  per raggiungere il luogo di partenza. Che emozione ripercorrere la strada sterrata che da ragazzo, prima in bici e poi in ciclomotore, percorrevo per raggiungere le sponde del lago per cimentarsi in una gara di pesca con gli amici. Quelle levatacce alle 4,00 del mattino per vivere la paziente attesa che il pesce abboccasse, la concitazione allo scampanellio che avvisava che l’esca aveva funzionato, l’estenuante tira-molla per non far sfuggire la preda ed alfine, dopo aver mostrato agli altri  la carpa, il persico o l’anguilla catturata, rigettarla in acqua vantandosi della propria (fortunosa) bravura.
Un tuffo nel passato rivissuto, oltre che per esperienza personale, attraverso i racconti del sig. Rivelli (spero di non aver sbagliato il cognome) che ci ha fatto rivivere l’emozione di tempi andati, ove il tempo scorreva lento e le distanze erano interminabili; dove i tre giri d’olio sostituivano il companatico ed il pane era l’unico sostentamento al duro lavoro nei campi. Istruttivo e rivelatore di come l’uomo, col suo avido impulso di potere, nell’ultimo secolo abbia innescato ed alimentato, attraverso il progresso tecnologico, un processo di distruzione contro il lavoro millenario della Natura.
E’ ora di iniziare l’escursione. Il terreno è meno fangoso del previsto e ci permette di osservare le fresche orme lasciate dai cinghiali di passaggio. Qua e là alcune improvvise cavità formatesi nell’argilla  a causa dell’erosione dell’acqua, si nota l’estenuante resistenza opposta dalle radici degli alberi prima di essere sopraffatte dalla violenza naturale del flusso. Precise e ben chiare le spiegazioni del buon Franco che, di volta in volta, ci ha erudito con chiarimenti e spiegazioni sulla storica evoluzione geologica del territorio.
Lasciamo la zona di rimboschimento, fatta di pini e cipressi e ritroviamo la vera essenza floristica del luogo. In realtà, come fatto notare dall’attento Cosimo, la vegetazione spontanea ha trovato nel rimboschimento fatto a valle, il vigore per riproporsi nella sua veste autoctona fatta di querce, roverelle, olivastri, pungitopo, ecc., compresa la divenuta famosa Strappabrache (salsapariglia smilax), le cui rosse bacche faranno bella mostra di sé in composizioni natalizie  opportunamente preparate dalle simpatiche signore nostre compagne di escursione.
Più in là, il ritrovare appezzamenti di terreno coltivati per lo più con alberi di olivo e con annesse ville, mi ha lasciato attonito e meravigliato. Un piccolo paesetto attorniato dal bosco, isolato dal resto del mondo i cui unici rumori derivano dalle auto dei proprietari che ritornano in città oppure dei fangosi fuoristrada che incombono con la loro mole sulla stretta strada sterrata. Oltre, si estende la radura con la chiesetta di san Salvatore e la necropoli che al suo fianco si sviluppa. Adriano ci erudisce sulla natura degli scavi, sul Dott. Ridola promotore e scopritore di numerose tombe tra cui la n. 33,  la più ricca di arredi funebri tra le innumerevoli e rinnova la leggenda, in me sopita, della Carrozza D’Oro che si ritiene essere in questo luogo ancora sepolta.
Breve sosta per pranzare in attesa che Don Egidio venga ad aprire e ci mostri gentilmente la chiesa, soddisfando la nostra curiosità in merito alla Festa dello Stendardo che, contrariamente a quanto credevamo, viene ancora annualmente celebrata la prima domenica di settembre.
E’ ora di intraprendere la discesa. Nel tragitto, ci fermiamo a raccogliere la spazzatura che in precedenza avevamo temporaneamente depositato ad un incrocio comune del percorso e che, nel salire, avevamo raccolto lungo la strada. Iniziamo a raccattare anche le cartucce esplose e non raccolte dai cacciatori. Una, due, tre, ………..”Oh guarda quante c’è ne sono qui ….. Cosimo, Cosimo…, fai una foto mentre le raccogliamo” . E’ la voce di Donato che, da bravo organizzatore, forte dei propri valori naturalistici, ci invita a raccoglierne quante possibili. Risultato, due belle bustone piene zeppe e tanti, tanti suggerimenti su come utilizzarle. Ultimo tratto, è tempo di ricaricare le batterie; non in senso figurato ma proprio in senso materiale. Due grosse e pesanti batterie per auto fanno sfoggio di sé in un angolo aperto del bosco; così, quattro vigorose e volenterose braccia, si offrono, non senza difficoltà, al trasporto delle suddette.
Infine, foto di gruppo con relativa immondizia raccolta e…., capatina al lago.
Minuti trascorsi ad ascoltare il lento sciabordio delle acque, tra il gracchiare dei corvi ed il digrignare dei nostri denti che divorano i fichi secchi di Cosimo, prodotti nella dirimpettaia Miglionico ormai semi nascosta dalla nebbia, e la frutta secca di Donato, proveniente da ben più alte latitudini. Quindi, al calare delle prime tenebre, salutiamo Tommaso e Marilisa che tornano in quel di Bari e via, ognuno per la propria strada.
A proposito, il cinghiale l’abbiamo avvistato prima ancora di iniziare l’escursione, non certo come avremmo voluto incontrarlo ma, nascosto dietro un cespuglio, lungo la strada sterrata, giaceva esamine la sua carcassa mentre la zona circostante era battuta da decine di cacciatori ancora non  prodi della fiera catturata.
Infine, e qui concludo, anche noi abbiamo vissuto il nostro momento di paura; lo scoppio della cartuccia ed il rumore dei pallini che cadevano a poca distanza, ci hanno indotto a suggerire che l’escursione e, sì da riprogrammare, ma in un periodo dell’anno in cui si possa far a meno di fischietto e casciara.
Antonio Valentino