L’escursione comincia con la stessa ripida ascesa con cui cominciammo l’escursione in direzione Monte Manfriana, una salita che scoraggerebbe i meno convinti, ma che ci aiuta a scaldare i muscoli.
Si sale.. ma a tratti, e per parecchie centinaia di metri nella faggeta si cammina in piano e con mirabili visioni di verde strepitoso.
Filippo ci mostra le forme di crescita della faggeta e ci spiega come lo sfruttamento del bosco e il successivo abbandono di questa attività, abbiano permesso alle piante di crescere con forme a fustaia e a ceduo.
Qualcuno lamenta la monotonia del percorso all’interno della Fagosa, ma personalmente, stare in queste enormi stanze verdi senza fine, mi crea una situazione di relax che difficilmente altri ambienti nella vita quotidiana riescono a concedere.
La salita si fa più ripida nell’ultimo tratto e il cielo accompagna la difficoltà con minacciose nubi, cariche di umidità e di pessime intenzioni, e stazionanti giusto sulle nostre teste o per esser più precisi, sulle vicine vette del Dolcedorme.
Siamo pronti anche alla pioggia, a conferma della testardaggine di cui sopra, e lasciandoci alle spalle solo poche persone che desistono per problemi di salute, ci addentriamo nell’ultimo tratto che viene denominato “le scalette” e che ci condurranno al piano di Acquafredda.
Il fiato si fa pesante e il sudore gronda dalle fronti ma arriviamo al piano in un tempo minore rispetto a quello stimato e quasi con la convinzione di dover ancora proseguire.
La dolina custodisce i famosi “alberi serpente” ossia una stupenda dimostrazione di come la natura si modifichi e si adegui a determinate condizioni climatiche e non.
Faggi contorti e dai tronchi sinuosi, appunto come fossero lunghi rettili che puntano verso il cielo, tronchi lisci quasi lucidi forse carezzati e levigati dal freddo e dalle lunghe nevi invernali.
La pioggia arriva, senza i temuti e scongiurati fulmini e il gruppo si prepara ad una discesa più veloce.
In realtà l’acqua viene giù a tratti e, ritornati nella faggeta, non sempre ci è chiaro se l’acqua che di tanto in tanto ci viene addosso sia quella del cielo o quella proveniente dal tetto verde che ci sovrasta.
Ricompattiamo il gruppo, recuperando gli amici rimasti ad attenderci a Piano di Fossa e cominciamo la discesa del ritorno.
Ad un tratto Cosimo ferma i trekker per una sorpresa che, a parer mio, è stato tra i momenti più intensi dell’escursione: ci invita tutti a fare una parte del percorso di ritorno in silenzio, a vivere la discesa dalla montagna non come un semplice ritorno alle auto ma come momento importante e di riflessione dell’escursione. Ci invita a tendere l’orecchio ai “rumori” della Natura, alla vita che ci circonda nella Fagosa e allo stesso “romantico” scrosciare discontinuo della pioggia fra le chiome arboree.
Ci sono delle perplessità sparse ma, dopo i primi minuti di uno inspiegabile imbarazzo, scende sulla lunga fila indiana di escursionisti, un silenzio naturale e per certi versi atteso.
“Silenzio
Sento il cuore
e a sovrastare il suo battito,
i miei passi sul suolo ricoperto di foglie.
La pioggia a tratti
suona
chiome verdi e altissime
e “forte” impetuosi..
… ascolto così
racconti di mille e mille silenzi,
di uomini passati tra questi stessi muschi,
tra questi tronchi sicuri e imponenti,
silenzi di uomini e delle loro vite,
tracciate in passaggi articolati.
Qui dove i silenzi si sono fusi
e hanno congiunto uomo e natura
in un abbraccio di secoli,
sono capaci di vita anche i massi,
ora inglobati nelle enormi piante
ora nascosti da vellutati velli di verde e minuscola vita.
Vita..
parola forte in questo silenzio diffuso,
parola forte che sveglia l’anima
in una poesia che nessun poeta sarà mai capace di scrivere.”
Ho difficoltà a tornare a parlare: troppo benefico questo salto nella Fagosa, quest’immersione in una grande e verde stanza, in cui l’occhio si perde senza distinguere altro se non forme e vite apparentemente immobili.
Incutono timore questi giganti, testimoni di epoche e vicissitudini che forse la maggior parte di noi può solo ignorare.
Qualcun altro non ha tanta difficoltà e, a dire il vero, è lampante che piuttosto ne abbia trovata a scoprire se stesso nel silenzio naturale che non è abituato ad ascoltare e in cui siamo stati immersi per un brevissimo quanto indimenticabile momento.
Usciti dalla Fagosa la pioggia ribadisce la sua presenza che incombe come un impaziente ospite dai poco garbati modi.
Così ci lasciamo alle spalle questa “passeggiata” in montagna, ancora una volta carichi di tante emozioni, di tanta ricchezza, di tanta serenità; sazi di quei sentimenti che restano il succo di cui si nutre la testardaggine propria di chi si appressa alla montagna conscio delle fatiche che quella ha in serbo.
Antonio Guanti