Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, Silenziosa luna?

Erwan è andato in testa al gruppo, con a fianco sua figlia Steren a destra e Dana a sinistra, il fido cane corso. In coda chiudono Franco e Rocco, detto il Mago.
Una pioggerellina si unisce a noi alla salita che dal serbatoio dell’Acquedotto porta verso Tempa Rossa.
Ho chiesto a ciascuno dei 22 partecipanti di contenere all’andata le parole, confinandole alla situazione che in questo momento stiamo vivendo: una camminata notturna sulla Murgia Materana,. Rocco e Franco si fermano piegandosi al margine della via indicando un punto per terra. Ma io non vedo niente. Una luce elettrica viene puntata sotto un sasso e spunta un piccolo rospo. E’ un rospo smeraldino, Bufo viridis, dallo sguardo attonito. La luce viene spenta e torniamo a camminare nel buio.

L’abbiamo chiamata “escursione del silenzio” non solo perché vogliamo provare limitare il nostro parlare, spesso invano: abbiamo scelto di far tacere anche le luci artificiali che ci accompagnano costantemente nella vita di tutti i giorni allontanandoci dalla Natura.
E’ incredibile come da questa terrazza naturale quasi disabitata, margine ultimo dell’altopiano murgiano affacciato ad Ovest, di notte appaia molto più artificiale e antropizzata che di giorno. Di notte, infatti, si accendono le luci della città e dei paesi, dei casolari e delle antenne, la dimensione dell’inquinamento luminoso è talmente vasta che ho difficoltà a distinguere la separazione dei diversi agglomerati di luci e a riconoscere i paesi. Verso Est un gruppo di luci più vicine rivelano la parabolica rivolta al cielo di Telespazio. Quando arriviamo al tabellone del ripetitore del telefono, Antonio mi fa notare la luce intermittente del faro di San Vito, che giunge da Taranto.
Sono sorpreso nell’accorgermi che c’è luce a sufficienza per vedere bene sia la via, sia buona parte del paesaggio intorno. Erwan ci spiega che quando spegniamo le luci delle torce elettriche gli occhi si abituano un poco per volta alla luce naturale. La visione è quasi in bianco e nero perché di notte utilizziamo i bastoncelli, piuttosto che i coni che permettono di vedere i colori. Inoltre, proprio perché utilizziamo i bastoncelli, che sono collocati alla periferia della retina, non serve cercare di focalizzare ciò che vogliamo vedere. Mettere a fuoco su un punto particolare va bene di giorno, ma di notte è preferibile uno sguardo che non si sofferma su niente in particolare ma svaria senza sforzo nell’ampiezza del campo visivo.
Nel tratto più prossimo all’abitato il paesaggio appare desolato, gariga interrotta da qualche albero spoglio (di mandorlo o perastro), spettrale, qua e là. Più avanti, invece, la vegetazione s’infittisce e le piante (lentischi e ginepri) si riempiono in guisa di piccole e grandi macchie scure e compatte.
Immaginavo che di notte avrei messo da parte la vista per privilegiare gli altri sensi e invece mi accorgo che, per me, resta soprattutto la vista a darmi le informazioni su dove mi trovo e a regalarmi emozioni. Come dice Rosa, uno si aspetta certe cose e invece ne trova altre.
A parte, di tanto in tanto, l’odore dei bovini o il suono di un campanaccio remoto, un grido lontano che sembra umano o l’abbaiare sperduto di un cane, c’è solo il rumore dei nostri scarponi, come di un drappello in marcia. Un rumore che a tratti diventa assordante. Per fortuna ci sono pezzi di strada immelmata che ci costringono sui margini coperti di vegetazione che attutiscono molto i nostri passi. Allora, quest’avanzare nel silenzio delle nostre voci, mi fa sentire in comunione con la natura che ci circonda, mi fa pensare ai pellerossa con i sensi sempre all’erta, in simbiosi con la natura.
Anche se il cielo è coperto, la luce della luna piena nascosta dietro si riverbera sulla terra con un effetto di diffusione. Poi la coltre si assottiglia, fino a divenire un velo leggero e raffinato che veste di eleganza l’astro d’argento, come una donna bella e affascinante. I suoi raggi dallo zenit si riflettono sull’acqua, trasformando le pozzanghere limacciose in nidi di luce. Orione cacciatore fa capolino dal suo nascondiglio e le altre stelle spuntano come chiocciole dopo la pioggia. Giove per una notte decide di scendere di un passo sotto la luna per offrirsi al suo servizio.
Erano anni che non mi capitava – non mi ricordo nemmeno più quando tempo è passato – di vedere l’ombra della luna. Ho sorriso di meraviglia quando me ne sono accorto. E’ al ritorno che, alle mie spalle, lei si è messa a disegnare il contorno del mio corpo in movimento, come fa chi vuole giocare avvicinandosi e ammiccando chiaramente, ma con discrezione.
Temevo, come gli altri, il freddo dell’inverno, il vento tagliente di Tempa Rossa, invece il ritorno è morbido, direi dolcissimo.
Dana si ferma e punta verso alcuni cespugli, forse ha fiutato un animale. Man mano che tutti sopraggiungono, ci fermiamo. Il rumore dei passi cessa e restiamo in silenzio. Tutto è calmo e tranquillo. Già questo ci basta.
Un rombo cupo e lungo scuote sommessamente l’aria tanto da chiederci sorpresi che cos’è. Lontani bagliori all’orizzonte verso Ovest rivelano che il cielo, clemente con noi stanotte, sta scatenando i suoi malumori su terre non molto lontane.
Intorno al falò, preparato dall’”appicciafuoco” Nicola nel cortile di Masseria Radogna, mostriamo i nostri visi sorridenti e ci raccontiamo un po’. Qualcuno preferisce continuare a far tacere le parole e lasciare schioppettare il fuoco. Abbiamo apprezzato il silenzio e privilegiato l’ascolto tanto che l’escursione ci è apparsa fin troppo rumorosa, come lamenta Rocco. Da soli sicuramente si fa meno rumore.
Sotto il tabellone di Conca d’Aglio credevo di non aver fatto in tempo ad esprimere un desiderio quando la scia effimera di una stella cadente ha graffiato il cielo. Mi sbagliavo. Il desiderio è quello di Nicola di piantare una quercia vallonea nella notte di luna piena e suggellare così una notte magica. Tutti insieme lo esaudiamo affidando la giovane pianta alla terra davanti a Jazzo Gattini e con l’aiuto della notte le chiediamo di diventare un albero grande, capace di giorno di ristorare con la sua ombra il viandante della Murgia.
 
Cosimo