Sorsi di oro bianco

Alessandria del Carretto. Il nome del paese più vicino mi fa pensare ad Ilaria del Carretto, la cui effigie è stata riprodotta con tenera delicatezza sul sarcofago di marmo, ammirata nella chiesa di San Martino a Lucca. Antonella mi dice che queste terre sono appartenute alla casata dei Del Carretto, imparentata con nobili meridionali.

Sorpresa. Alla riunione di pre-escursione si era parlato di una spolverata di neve, ma dev’essere “sferrata” la mano perché è stata un’immersione nella neve, caduta evidentemente nei giorni scorsi da milleduecento metri in su.

L’ontano. Spogli di foglie, ma ingioiellati di penduli dorati, che farebbero bella figura accanto al viso di una graziosa fanciulla. Gli ontani napoletani si stagliano contro lo sfondo imbiancato della montagna che sale verso un’antenna, piazzata proprio alla sommità.

Neofiti. Francesca si raccoglie nelle proprie braccia contro il freddo mentre aspetta gli ultimi ritardatari del folto drappello. Eustachio fa fatica a mantenere il gruppo alle sue spalle: lo sa bene che, una volta liberate, le gambe dimenticano presto la disciplina.

Palle di vischio. Sembrano piccoli mondi alieni sospesi tra i rami degli alberi. Mi ricordano i paesaggi immaginari di Pandora.

Gioielli. Restiamo incantati davanti all’imbrago metallico del muretto della fontana. E’ l’acqua che il mago invernale ha trasformato in splendidi gioielli di ghiaccio dalla curiosa forma a rombo. Accanto all’acqua che scorre, lunghe incantevoli stalattiti si sono raccolte intorno ad un filiforme cuore d’erba, apparentemente senza valore. Una colonnina diafana ha eretto il suo effimero slancio amoroso verso la bocca della fontana.

Le onde del vento. Man mano che si sale e si raggiungono tratti scoperti, il vento ci raggiunge infilandosi attraverso gli spiragli incustoditi dei berretti di lana. Cerchiamo un illusorio riparo dietro le onde di neve modellate come un deserto bianco in miniatura. ——–

Il rifugio. E’ un punto fermo, una parete di mattoni di roccia che ci ripara dal vento gelido e possiamo sentirci arrivati. Attraverso le porta spalancata sul Nord penetra un freddo che nessuno vuole per compagno. Restiamo addossati alla parete su cui, di tanto in tanto, si riposano anche i raggi del sole. I più temerari proseguono verso la cima scoperta.

La galaverna. Seguiamo il vento che imbianca di galaverna ogni disegno vegetale, dal filo d’erba ai cespugli, dalle bacche di rosa canina agli alberi. Lagoforano è solo una località a cavallo di due bacini idrografici. Davanti a noi si raccoglie il Raganello dopo i Lisci di San Lorenzo, così dolci e regolari nella pendenza che non lasciano presagire l’abisso su cui si affacciano. La corona delle vette del Pollino si allarga allo sguardo, i signori oltre i duemila troneggiano comparendo e scomparendo tra le nuvole dense

Alberi di cristallo. Chi si è preso la briga di venire fin quassù a ridipingere di bianco questi indomi scalatori temprati di legno? Sul pavimento di neve spuntano i piccoli boccioli dello zafferano.

La salita e il mare. I temerari che sono tornati dalla cima ci riportano l’immagine di un mare meraviglioso che si perde a vista d’occhio sotto la cima dello Sparviere.

Sorrisi. Torniamo alla spicciolata, fa freddo e molti hanno già cominciato la discesa. Il celeste profondo degli occhi di Francesca sono forse il lago che mi aspettavo di trovare quassù. Mi chiede se l’escursione è andata bene. Mentre me lo chiede sorride, perché sa già la risposta.

La battaglia di Alessandro. Al ritorno entriamo nel cortile della chiesa di pietra, lasciato aperto alla devozione dei pellegrini della montagna. Alessandro, in agguato dietro un albero, medita una vendetta bianca nei confronti del padre. Ma è troppo presto per cantar vittoria: ci diamo appuntamento alla prossima sfida.