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Due giorni di cammino nella wilderness con Trekking Falco Naumanni

In 17 hanno partecipato sabato 28 e domenica 29 luglio alla due giorni di trekking organizzata dall’Associazione Trekking Falco Naumanni sul Pollino. L’ambizioso programma di raggiungere tutte e cinque le cime che superano i duemila metri di quota è stato portato a termine. Ecco come sono andate le cose.

Levata all’alba e partenza da Matera alle 6:00 per raggiungere in macchina Colle dell’Impiso, in territorio di San Severino Lucano.
Sono le 9:00, entrati nella faggeta, subito affrontiamo la salita in forte pendenza per la prima cima, Serra del Prete.
Da subito ci rendiamo conto che non sarà facile a causa soprattutto del peso che ci portiamo dietro: dai 7 ai 10 chili di zaino carico di indumenti, provviste, acqua, sacco a pelo e materassino per la notte.
A metà percorso qualcuno si ferma a gustare lamponi e fragoline incontrate lungo il percorso e a far così scorta di sali minerali e vitamine. Di sotto il Monte Grattaculo appare come un nano.
La fatica si fa sentire, ma poi ciascuno di noi prende il suo ritmo e tutto il gruppo riesce a raggiungere la cima posta a 2180 metri di quota, dopo 610 metri di dislivello.
Dopo una breve sosta, proseguiamo verso il Monte Pollino. Discendiamo lungo il sentiero segnato dal C.A.I. ai 1680 metri di Colle Gaudolino, dove ad attenderci ci sono due nostri amici che ci fanno trovare a sorpresa una fresca fetta di anguria, ottimo argomento per ritrovare le energie e affrontare con entusiasmo la seconda salita.
Prima però riempiamo le borracce e ci avviamo sul sentiero che sale trasversalmente sul lato di nordovest del Pollino. Sotto il sole ad una temperatura oltre i 25 gradi, la fatica aumenta.
Giunti sulla spalla che porta al Pollinello, in tre decidono di proseguire direttamente alla sella sotto il Dolcedorme, rinunciando alla cima del Pollino.
Gli altri continuano la salita fermandosi spesso per bere acqua mescolata a sali minerali necessari a reintegrare quelli persi con il sudore.
Man mano che si sale si vedono i margini del bosco bruciato a metà luglio lungo il versante calabrese. Le fiamme hanno attinto anche i pini loricati, pregio di queste montagne.
Dopo 570 metri di dislivello, raggiungiamo anche la cima del Pollino, a 2248 metri s.l.m. Da qui ci riposiamo ad ammirare le altre quattro cime oltre i duemila metri. Il nevaio più a Sud d’Italia, dove l’anno scorso è stata collocata una stazione meteo, si è sciolto.
Ridiscendiamo fino alla sella tra Pollino e Dolcedorme, dove ci ricongiungiamo con il resto del gruppo. A questo punto possiamo abbandonare temporaneamente gli zaini e intraprendere la terza salita per puntare al tetto del massiccio: Serra Dolcedorme, collocata a 2267 metri di quota.
Dai 1900 metri della sella ci inerpichiamo, finalmente più leggeri, per i 370 metri di dislivello che ci dividono dalla vetta. Accanto ai sassi ammucchiati ad indicare la sommità c’è il libro di cima, dove qualcuno riporta in breve le intense emozioni che stiamo vivendo.
Non tutti però sono saliti in groppa al gigante. Qualcuno, particolarmente provato dalla fatica, ha preferito riposare all’ombra di un faggio e ristorarsi con le provviste portate da casa.
Il sole da un pezzo ha cominciato la sua traiettoria di discesa verso ovest quando, riunito il gruppo alla sella, si riprende la marcia di nuovo zaino in spalla, questa volta per discendere lungo il sentiero tortuoso di Fossa del Lupo che porta ai piani del Pollino. Anche la discesa è faticosa perché impegna molto muscoli ed articolazioni delle gambe.
Siamo ora intorno ai 1800 metri, la luce si fa radente e calda e sul breve tratto in piano procedere diventa dolce, tra le genziane maggiori già sfiorite e le mandrie di bovini e di cavalli al pascolo.
Lasciamo alle nostre spalle le colline moreniche, residuo dell’ultimo ghiacciaio che ha abbandonato queste cime da almeno 12 mila anni e riprendiamo a salire, questa volta sul flisch, “il terreno che scivola”, in direzione nordest.
Man mano che ci avviciniamo alla Grande Porta, tra Serra delle Ciavole e Serra di Crispo, ci salutano i primi grandi pini loricati.
Cerchiamo uno spazio adatto per la notte da trascorrere all’addiaccio. Ci fermiamo non molto lontano dalla sorgente Pitt’accurc’, sotto Serra di Crispo. Il sole è ormai tramontato e facciamo rifornimento di acqua mentre il giorno cede all’imbrunire. Sullo sfondo dell’orizzonte, fra i vari piani dall’azzurro al celeste, si distinguono ancora le vette lucane del Monte Alpi, la Spina e il Sirino.
Decidiamo di non accendere il fuoco, il Parco ha ancora le ferite del recente incendio che ha colpito i fianchi del Dolcedorme e del Pollinello. Restiamo però in cerchio a condividere la cena. Qualcuno monta la tenda, ma la maggior parte srotola semplicemente il sacco a pelo e vi si chiude dentro cercando di proteggersi dall’umidità della notte.
Non fa per niente freddo e nel cielo la luna, che ha superato il primo quarto, rischiara il buio, togliendo visibilità alle stelle. Ma a notte fonda, quando l’astro d’argento tramonta, si dischiude la volta stellata in tutta la sua profonda magnificenza. Di tanto in tanto qualche vicino nitrito ci sveglia, ma ci riaddormentiamo presto: abbiamo bisogno di recuperare le energie dopo una prima giornata molto dispendiosa.
Le prime luci dell’aurora ci risvegliano con l’orologio che segna le 4:30. Chi vuole può salire sulla vicina Serretta a vedere l’alba. Venere e Giove presidiano ancora il cielo ad est. Le luci dell’abitato di Terranova sono raccolte come un nido tremolante nella terra scura. C’è molta foschia sull’orizzonte, il Mar Jonio s’intravede a malapena e il sole spunta debolmente quand’è già alto. Ma l’emozione di un nuovo giorno che inizia è sempre grande. La luce riempie le forme e colora i paesaggi intorno a noi. Inizia la seconda giornata di trekking, più breve della prima ma non meno attraente. Dopo la colazione, ritorniamo sui nostri passi per raggiungere rapidamente la vicina cima di Serra di Crispo a 2053 metri di altezza. Circondati dai loricati, siamo nel “giardino degli dei”. Salutiamo una famigliola che si è accampata in quota e ridiscendiamo rapidamente per recuperare gli zaini e ripartire in direzione di Serra delle Ciavole. Prima però ci fermiamo ai resti del grande pino loricato bruciato nel 1993. Il suo cinereo scheletro emana ancora fascino e ci dispiace vedere che alcuni dei suoi poderosi rami non hanno retto all’ultimo inverno e sono crollati. Lasciamo gli zaini accanto ad un faggio e in ordine sparso ci dirigiamo verso l’ultima delle cinque cime. Siamo rinfrancati del riposo della notte e raggiungiamo in breve la cima lucana, a 2130 metri di quota, poi quella calabrese, più o meno alla stessa altezza. Il primato sembra tuttora conteso. Ma a noi importa poco, ci godiamo una vista eccezionale sulla cosiddetta “cresta dell’infinito” che abbiamo percorso il 24 giugno dal Colle San Martino lungo tutta la Manfriana fino alla vetta del Dolcedorme. Sotto si stende, come un enorme tappeto verde, la grande faggeta della Fagosa. Siamo ormai al volgere della due giorni di trekking, non ci resta che riprendere gli zaini e cominciare il percorso di ritorno attraverso la Piana del Pollino prima e il bosco di Chiaromonte dopo. Finalmente la grande fatica sta per terminare, ma in fondo ci dispiace di lasciare questi meravigliosi angoli di natura ancora incontaminata.
L’ultima fermata è per attingere acqua all’ultima sorgente, Rummo. Stanchi ma soddisfatti, nel primo pomeriggio raggiungiamo Colle dell’Impiso, da dove eravamo partiti.
Con i piedi a mollo nelle acque del torrente Peschiera facciamo un po’ di conti: abbiamo percorso in totale circa 33 chilometri con 2500 metri di dislivello. Dei 17 partecipanti, ben 9, di cui 2 donne, hanno toccato tutte e 5 le cime del Pollino oltre i 2000 metri.

Cosimo Buono