L’editto napoleonico di Saint Cloud (Décret Impérial sur les Sépultures)
Con il Décret Impérial sur les Sépultures, emanato il 12 giugno 1804, nel Castello di Saint Cloud da cui prese il nome l’editto, l’imperatore Napoleone Bonaparte stabilì che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali1.
L’editto di Saint Claud fu esteso da Napoleone al Regno d’Italia con l’editto Della Polizia Medica, promulgato sempre da Saint-Cloud, il 5 settembre 1806, scatenando un intenso dibattito pubblico. Ugo Foscolo si scagliò contro questo editto con il carme Dei Sepolcri, scritto in pochi mesi tra l’estate e l’autunno del 1806 e che quelli della mia età hanno dovuto imparare a memoria. Dopo l’ingloriosa fine della Repubblica Napoletana durata pochi mesi, il Regno di Napoli fu presto riconquistato da Giuseppe Napoleone, che il fratello, l’imperatore Bonaparte, l’8 maggio1806 nominò Re delle Due Sicilie, come 6° Feudo dell’Impero Francese, regno passato, poi, al cognato Gioacchino Murat nel 1808, grande e coraggioso comandante di cavalleria e marito della sorella minore di Napoleone, Carolina Bonaparte . Le norme dell’editto di Saint Cloud, estese anche al Regno di Napoli, furono mantenute in vigore dai Borboni ritornati a Napoli nel 1815.
Il camposanto a Matera costruito con molto ritardo
La città di Matera, impoverita1 con lo spostamento a Potenza l’8 agosto 1806 del Capoluogo della Provincia di Basilicata, iniziò con molto ritardo la costruzione del nuovo cimitero. Solo il 9 giugno 1841 ci fu l’inaugurazione del Camposanto. L’avvenimento fu solennizzato con un discorso del barone Gian Battista Firrao2.
Il ritardo nella costruzione del cimitero, penso, fu motivata anche dal fatto che le antiche famiglie che continuavano ad amministrare la città avevano le proprie tombe gentilizie nelle chiese, cui non volevano rinunziare, come i Malvinni Malvezzi e i Firraù con sontuose cappelle in S. Francesco d’Assisi. Nella chiesa di S. Rocco in Piazza S. Giovanni, alcune casate materane esercitavano il Diritto di Patronato su otto dei nove altari e sulle sottostanti sepolture erano calati i resti mortali dei membri delle famiglie Gattini, De Miccoli (non ancora De Miccolis), Guida, Giuseppe De Lena, Venusio, Del Monte, Agata, e Copeti. Sotto la sacrestia c’erano altre tre sepolture, probabilmente di altre tre famiglie e una quarta, ancora piena di ossa, grande quanto tutto il presbiterio e l’unica ancora accessibile da una grande botola di pietra3. Il Camposanto di Matera, progettato dall’ingegnere del corpo di acque e strade Gaetano de Giorgio, fu una costruzione molto più modesta rispetto a quello delle vicine cittadine pugliesi che la circondavano, sia per il portale d’ingresso che per le cappelle delle famiglie borghesi e gentilizie, delle varie confraternite ed enti ecclesiasti, tutte in tufo, senza marmi, escluse due in mattoni costruite molto più tardi, quella di Gioacchino Cappelluti Altommare e quella di Filippo Giudicepietro.
La Via IV Novembre e l’ingresso monumentale del Camposanto
La via che conduce al Camposanto fu chiamata IV Novembre per ricordare i numerosissimi morti della guerra 15/18. Infatti, avendo il 3 novembre l’Austria firmato l’armistizio entrato in vigore il giorno successivo, la I Guerra Mondiale finì quando, alle ore 15 del 4 novembre, sul fronte italiano le armi cessarono di sparare. Quella via iniziava da Via Lucana, come attualmente, ma arrivava con un rettilineo ininterrotto sino all’ingresso del Cimitero, alla cima della collina su cui sorge, senza interruzione come oggi, tagliata da Via Rosselli4.
Il Camposanto
Sul frontale dell’ingresso c’è la seguente scritta in lettere grandi e maiuscole, che ai miei tempi tutti i ragazzi imparavano, accompagnando spesso i genitori per visitare i morti:
DAL SILENZIO DI QUESTE TOMBE
SI ELEVA UNA VOCE
CHI ADORA IDDIO E OPERA
CON CARITA’ E GIUDIZIO
VIVE IN ETERNO
Attraversando un vestibolo che ha ai due lati l’abitazione e l’ufficio del custode, si entra nel Camposanto, che ha la forma di un ampio rettangolo, cinto al momento della costruzione da un’alta muraglia ed è diviso in quattro parti uguali da due viali ombreggiati da cipressi che s’incrociano al centro, dove si eleva una grande croce. In fondo, di fronte all’ingresso, fu costruito un maestoso tempio per le celebrazioni e le commemorazioni.
Al momento dell’inaugurazione non c’erano né cappelle né sepolture, oltre a due monumenti mentre altri erano in progetto, perché attorno alle mura di cinta erano stati previsti spazi per le cappelle su tre lati e innanzi ad esse e al muro anteriore spazi per le sepolture. Avanti alle sepolture correva sui quattro lati un viale simile a quello che spaccava il Camposanto in quattro parti. Avanti a questi viali c’erano i quattro spazi di rosseggiante arenaria riservati per la sepoltura nella terra, dove le bare dei defunti, così come ancora oggi, sarebbero rimasti per un decennio, trascorso il quale i defunti sarebbero stati disseppelliti e le loro ossa sarebbero state accumulate nel grande ossario comunale.
In fosse comuni furono seppelliti anonimamente i morti della spagnola nel dopoguerra del 15/18, dato il grande numero di morti e la mancanza di personale, non colpito dalla pestilenziale influenza, sufficiente per provvedere a una diversa sepoltura. Mia madre non aveva un luogo su cui accendere un lumino o posare un fiore, non conoscendo il luogo dove la madre era stata gettata insieme ad altri cadaveri, essendo tutta la famiglia a letto per la spagnola quando la madre fu prelevata e caricata su un carro insieme ad altri defunti di tutte le età.
Immediatamente dopo l’inaugurazione del Camposanto la maggior parte delle confraternite, degli enti ecclesiastici e soprattutto delle famiglie, e non solo le ricche e nobili, per seppellire i propri morti, non sempre costruirono cappelle, o in attesa di farlo, furono subito costrette a realizzare le proprie sepolture, specie di pozzetti di propriètà, in cui calarvi i propri defunti per sempre, identiche a quelle che precedentemente si trovavano nelle chiese.
Le sepolture
Solo su poche lastre di copertura delle 57 sepolture allineate innanzi al muro di cinta anteriore e, innanzi alle cappelle, sugli altri tre lati non indicano la famiglia cui appartengono, come quella di Ruggieri fu V.zo, Prof. G. Corazza, Prof. Del Salvatore, Eredi Morelli 1880/1945, Famiglia Cosola. Altre hanno solo iniziali dei nomi e cognomi e altre ancora spesso non sono più leggibili, come quella che ha inciso uno stemma su una lunga scritta in latino non più leggibile.
Due pozzetti affiancati all’inizio del lato sinistro sono stati recentemente ricoperti con lastre di marmo bianco con incise la scritta Famiglia Vinciguerra e Famiglia Tosti. Molte, ormai, non vengono più usate, ma alcune sono ancora chiuse con una sbarra di ferro con catenacci anche nuovi che hanno sostituito i vecchi consumati dalla ruggine. Questo, come confermato dal custode Francesco Ambrosecchia, il successore del noto Battista, sono la prova che alcune sepolture vengono ancora utilizzate, come dimostrano anche i mazzi di fiori e lumini appoggiati e non solo il 2 novembre.
Le cappelle
Le cappelle furono costruite molto lentamente negli anni successivi alla inaugurazione, tutte in tufo lungo i tre lati del Camposanto, di fianco e di fronte all’ingresso monumentale. Anche nelle cappelle le bare venivano calate nelle sepolture, come ancora oggi per alcune di esse, scavate all’interno e sotto il pavimento, dinanzi all’altare. I loculi nelle cappelle furono costruiti molto più tardi e non in tutte le cappelle. Ancora oggi mancano i loculi in quelle dei Gattini, dei Malvinni Malvezzi, dei Pomarici-Giuralongo e dei Porcari.
Le cappelle del lato sinistro, entrando, secondo la loro intestazione sono:
1) Imparati, bella cappelletta simile ad una chiesetta, non attaccata al muro di cinta né a quella successiva, di famiglia sconosciuta e la porticina ha vetri che non consentono di guardare dentro.
2) Fracasso.
3) S. Antonio.
4) Famiglia Schiamone, contenente i loculi anche della famiglia De Ruggeri con quella dell’avv. Nicolò e della figlia Teresiona.
5) Pascarelli, una famiglia originaria di Armento che nella metà dell’Ottocento comprò il Palazzo Festagallo, demolito per costruirvi la sede centrale della Banca Popolare del Materano.
6) Crapulli.
7) Purgatorio.
8) Gattini, spoglia senza loculi, per cui quando hanno fatto la ricerca nel sottostante pozzo di sepoltura, non si è riusciti a trovare il corpo dello storico Giuseppe Gattini, tra i tanti corpi forse anche di estranei alla famiglia da tempo trasferitasi a Roma.
9) senza intestazione, appartenente alla Confraternita di Gesù Flagellato, l’unica ancora funzionante, diretta dal Capobanda Nunzio Paolicelli, ma che non ha una propria sede da quando furono scacciati dalla loro chiesa trasformata in Carcere (il vecchio) affianco alla Chiesa di S. Giovani e recentemente restaurata. In essa è seppellito il farmacista e veterinario Gregorio Padula de’ Santoro che, aggiunto al cognome Padula, porta quello della antica e nobile famiglia materana estinta, proprietaria dell’omonimo antico palazzo prima della Porta di Suso su via Duomo. E’ il padre dello storico Mauro Padula.
10) Caropreso. La cappella è posta in mezzo ad un giardino. Nel lato sinistro c’è un suggestivo e struggente gruppo statuario composto da una stele quadrata di marmo bianco con l’iscrizione Vincenzo Caropreso (1881-1926), terminante con la testa del giovane astronomo a cui si abbraccia la madre inginocchiata in bronzo nero. Ezia Schiavone De Ruggeri, nipote dello scienziato, ha scritto una bella e completa biografia dello scienziato, illustrandone la vita e la figura.
11) Andrisani MCNXXV già Turi. E’ una piccola cappella ottagonale in pietra. Le forti e prolifiche donne della famiglia Turi hanno originato le grandi e numerose famiglie della borghesia agricola e industriale materana dei Riccardi, Lamacchia, Tortorelli e Andrisani.
Le cappelle di fronte all’ingresso sono:
12) Torraca Rotunno.
13) Can. D. MS delle Nove 1916
14) Manfredi.
15) Paolo Paladino, con le sole tombe di Donato Paladino 1835-1903 e Angellina Capriglia 1880-1906. E’ una famiglia non presente a Matera da molto tempo.
16) Ridola L e D 1892. Sono sepolti l’architetto Leonardo, progettista di Via Ridola e il più noto fratello, il senatore, archeologo e medico Domenico (1841-1932).
17) S. Pietro Barisano.
18) Società Mutuo Soccorso.
21) S P Caveoso.
22) Capitolo, cappella con due false mezze colonne, l’unica restaurata di quelle appartenenti agli Enti Ecclesiastici e alle Confraternite. Sono tutte lasciate in completo abbandono dagli Enti Ecclesiastici e soprattutto dall’Arcivescovado che è l’erede delle Confraternite dopo il loro scioglimento e l’incameramento dei loro beni. In alcune di queste cappelle i colombi vi vivono e vi nidificano e da quello che rimane delle coperture coperte da coppi, attualmente rotti e spostati dal vento e dall’erba che cresce abbondante, l’acqua delle piogge entra nelle cappelle, inondandole e infradiciando le pareti in tufo, sgretolandole. Uno squallore cui si disinteressano sia gli Arcivescovi, sia il Comune di Matera che dovrebbe conservare e mantenere questo prezioso bene pubblico carico di tanta storia della popolazione e della città.
23) Cappella Comunale: grande e largo edificio posto di fronte all’ingresso per le manifestazioni pubbliche e per le messe celebrate nelle grandi occasione oltre che, ovviamente, solennemente il giorno della commemorazione dei defunti. Sulla destra c’è il monumento all’Arcivescovo Antonio Di Macco (1851-1854). In alto a sinistra, una targa ricorda il prof. D’Addozio, certamente Vincenzo, grande grecista e latinista materano, insegnante universitario, cui è dedicata la via che porta al Sasso Barisano. Fu anche sottosegretario alla Pubblica Istruzione. Tutte le altre 37 targhe di varia grandezza e forma, attaccate alle pareti a varie altezze e senza nessun ordine, ricordano alcuni caduti in guerra senza distinzioni tra soldati, sottufficiali ed ufficiali, decorati e non.
24) Famiglia Zagarella De Miccolis e Sinatra su lastra di marmo, sormontato dallo stemma nobiliare.
Nella cappella, sul lato sinistro, si trova il sarcofago marmoreo in cui è inumato il cadavere imbalsamato di Domenico De Miccolis (1790-1863), più volte sindaco di Matera. Il sarcofago contiene, come risulta evidente dalla foto, un grande e lungo sportello che nel passato veniva aperto alla vigilia del 2 novembre per ripulire il defunto, alla presenza dei numerosi parenti, alcuni provenienti anche dalla Sicilia, essendo catanesi i mariti delle due figlie del defunto5.
Sotto il sarcofago che occupa tutto il lato sinistro della cappella, mentre quello destro è riservato ai loculi dei numerosi discendenti di Domenico De Miccolis, c’è una scritta scolpita sulla lastra di marmo sopra riprodotta, che di seguito trascrivo, facendo notare che è scolpito in grassetto il nome non della salma in esso contenuta, né il nome nobilissimo della moglie Caterina Firrao, delle loro figlie Giovanna e Francesca, ma quello del genero MARCHESE SORRENTINO, FRANCESCO POLIZZI, che dissipò in vita tutti i beni della moglie:
ALLE CENERI E ALLA MEMORIA
DI GIUSEPPE DE MICCOLIS
VISSUTO ONESTO BENEFICO ANNI LXXIII
RAPITO IL DI XXII APRILE MDCCCLXXII
ALL’AMORE DELLA CONSORTE CATERINA FIRRAO
E DELLE FIGLIE
GIOVANNA E FRANCESCA
DESIDERATO E COMPIANTO DA QUANTI IL CONOBBERO
QUESTO MONUMENTO
LE FIGLIE DOLORATISSIME
E IL GENERO
FRANCESCO POLIZZI MARCHESE SORRENTINO
25) D’Amato Radogna.
26) Famiglia Battista, come risulta dalle tombe, ma non so se la cappella contiene anche la tomba della poetessa Laura, sposata e morta a Tricarico.
27) Bronzini, con la sola lapide di Domenico Bronzini di Cesare.
28) Confr. M. SS.ma Addolorata.
29) Confr. S. Giovanni da Matera.
30) Confr. S. Eustachio.
31) Confr. Maria SS.ma di Picciano.
32) Confr. S. Giovanni da Matera, in cui sono sepolti i miei genitori. Mia madre volle tumulare il marito nella Cappella comprando un loculo sottostante, facendo scolpire da una artista a Carrara un’unica grande lapide che copre sia la tomba del marito sia la sua quando sarebbe morta, con un’unica lampadina ed un sola fioriera per entrambi. Il marito Alfonso, nato il 26 luglio 1898 morì il 27 novembre 1953 a soli 55 anni, mentre lei, nata il 22 agosto 1902 morì l’11 dicembre 1981, 23 anni dopo.
Le cappelle del lato destro entrando sono secondo la loro intestazione sono:
33) Filippo Giudicepietro. La cappella è una delle due di mattoni e appartiene a un ramo dell’altra famiglia omonima già proprietaria del Palazzo Firraù6.
34) V. Pizzilli.
35) Famiglia di Giovanni Ruggeri.
36) Sodalizio Carmelitano.
37) Michele Porcari , una delle poche che, modestamente conserva la porticina d’ingresso di legno e senza loculi.
38) Padula, acquistata nel dopoguerra dalla famiglia degli industriali pastai, è stata rinnovata, diventando la più moderna ed elegante, tutta rivestita all’interno di marmo.
39) Maria SS delle Nove – Maria SS del Rosario.
40) Confraternita di M. SS della Bruna.
41) Arciconfraternita S. F.sco da Paola. L’unica cappella restaurata di una confraternita, per volontà del dotto Canonico Mons. don Antonio Tortorelli, rettore della Chiesa di S. Francesco da Paola, cappellano della Congregazione Laicale e autore di numerose opere storiche. E’ inoltre la più grande delle cappelle del Camposanto, dove sono sepolti molti membri delle famiglie della borghesia agricola strettamente imparentata con la famiglia Tortorelli: Lamacchia, Riccardi, Andrisani, Montemurro, ecc. Era quasi la cappella di queste famiglie. Lo zio di don Antonio e suo erede delle Masserie dei Cinque Canonici, il Canonico Emanuele Tortorelli, Vicario Arcivescovile e realizzatore di grandi opere.
42) Cappella dei Malvinni Malvezzi, duchi di S. Candida.
Cappella Gattini Cappella Malvinni Malvezzi
Costretti ad essere vicini di casa in vita in due palazzi affiancati in Piazza Duomo, i Gattini e i Malvinni Malvezzi, penso, avevano deciso di stare il più lontano possibile almeno nell’eterna dimora. Costruirono le loro cappelle cimiteriali, ponendole il più lontano possibile tra loro, ai lati opposti del vialone centrale del Camposanto, una di fronte all’altra. Fanno, perciò, da sfondo del quadrivio, a destra c’è la Cappella Gattini e a sinistra, di fronte alla parte opposta, quella dei Malvinni Malvezzi. Si ritenevano, a ragione, tanto noti e famosi che non avevano ritenuto di dover contrassegnare il nome della loro casata sulle rispettive bianche cappelle. Solo i Gattini avevano messo sulla loro cappella gentilizia, in piccolo e molto in alto, tanto da essere poco visibile, lo scudo gentilizio riproducendo un gattino, (che richiamava il cognome di famiglia) con una serpe in bocca e la scritta “In umbris radiant”. Entrambe le cappelle sono in cattivo stato all’interno, non essendoci più maschi con il cognome Malvinni Malvezzi ed essendosi trasferiti a Roma tutti i Gattini da molti decenni. Non esistono più i loro estesi possedimenti terrieri e il Palazzo Gattini è stato trasformato in Palazzo Gattini Luxuria Hotel *****, di proprietà del bernaldese Nicola Benedetto e il Palazzo Malvinni Malvezzi è di proprietà dell’Amministrazione Provinciale7.
43) Famiglia Cappelluti Altomare con la tomba di Gioacchino (1868-1931), l’industriale molfettese costruttore di una grande e moderna fabbrica di laterizi alla fine della strada che da lui prese il nome, fiancheggiata dalla maggior parte dei palazzi e palazzine da lui costruiti con i suoi mattoni, che i materani non utilizzavano, preferendo i tufi e i coppi. Nella cappella fu seppellito l’amato nipote, rapito giovanissimo, ma ritrovato quasi subito e i presunti (certi) rapitori in un anno furono condannati dal tribunale di Matera e assolti in appello a Potenza. Allora la giustizia funzionava rapidamente tanto che un’altra causa penale tra il Duca Monsignor don Giulio Malvinni Malvezzi e lo scapestrato fratello minore Carlo che lo aveva aggredito, dopo averlo derubato, si esaurì in un anno tra Matera, Potenza, in appello e Roma in Cassazione.
44) Giura Longo – Pomarici, senza loculi, modesta nonostante la ricchezza delle due famiglie e con la porta di legno, posta certamente al momento della costruzione e con le due sepolture, una per famiglia, a destra e a sinistra dell’altare.
Grande piazzale senza cappelle, con a sinistra 4 sepolcri e varie lapidi alle pareti: Passarelli, Brucoli, al centro una elegante torre rivestita in ceramica, con le tombe della Famiglia Serravezza, a destra 7 sepolture e loculi della famiglia Tortorelli.
45) e ultima Cappella Conte (l’editore) Magno.
Il Cimitero Sconsacrato
Nel retro delle cappelle di fronte all’ingresso c’era una parte di cimitero, sconsacrata, riservata ai suicidi, ai non cattolici e agli scomunicati, A noi ragazzi era vietato anche andare a curiosare, anche dopo, quando fu consacrato per ampliare il Camposanto integrando quel grande spazio nel cimitero con la costruzione di cappelle e di loculi, ma non più sepolture.
Il nuovo Camposanto giù all’antico Pantano
Già da circa la metà del secolo scorso sono stati esauriti tutti gli spazi previsti per la costruzione delle cappelle e furono utilizzati la maggior parte degli spazi precedentemente riservati alle sepolture nella terra per la costruzione di loculi e di tombe. Fu decisa la costruzione di un nuovo Camposanto a Serra Venerdì ed era stata già costruita parte delle mura di recinzione, quando i lavori furono sospesi per costruirvi il nuovo quartiere omonimo, il primo dopo l’approvazione della Legge per lo sfollamento dei Sassi. Fu deciso, perciò, di costruirlo a Serra Rifusa, ma questa soluzione trovò l’opposizione dei molti proprietari, alcuni personaggi importanti politicamente, di appezzamenti di terra in cui erano state costruite e progettate ville e villette. Si decise perciò di spostarlo giù alla parte finale dell’antico lungo pantano, prosciugato solo nel dopoguerra, dove la natura argillosa del terreno non avrebbe consentito il seppellimento nella terra.
Si decise, quindi, di continuare ad usare il vecchio Camposanto per tale uso, cosa che continua ancora oggi, ma lo spazio è ormai insufficiente. Sono, infatti, ancora molti coloro che chiedono di essere sepolti nella terra.
Tra costoro ci sono sia gli italiani come il noto materano Edmondo Colucci e il medico campano Guido Ippolito, sia, soprattutto, gli stranieri per antiche tradizioni dei paesi d’origine. Tra questi la numerosa colonia degli albanesi e dei paesi confinanti. Infine, ci sono persone che non sono in condizione di poter acquistare un loculo nel nuovo cimitero, troppo costoso per le loro condizioni finanziarie.
Per il seppellimento nella terra, perciò, il vecchio Camposanto, ormai inglobato nella città e circondato da una grande parco, è ancora in funzione insieme al nuovo.
Stradario Scopri Matera di Emmegi
1 Si voleva così evitare discriminazioni tra i morti dei vari ceti e impedire la loro tumulazione nelle cosiddette sepolture dentro le chiese, cioè in quella specie di pozzi, comuni o familiari. Questo editto aveva, quindi, alla base due motivazioni: una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica, che rimase inattuata. La tomba di Napoleone è stata collocata in una cripta a cielo aperto ricavata nel pavimento della chiesa di Saint-Louis des Invalides a Parigi, esattamente sotto la cupola dorata.
1 Perse subito l’Intendenza (l’attuale Prefettura) e nel 1811 i Tribunali.
2 modifica dell’antico cognome Firraù. Era il fratello del Colonnello del Genio Civile, prima del Regno di Napoli e, poi, di quello d’Italia, Cesare, al quale Matera ha intitolato una piazza, l’antico spiazzo delle Fornaci Vecchie, dove c’era la Pesa Pubblica. Secondo don Marcello Morelli progettò la ferrovia Napoli Caserta.
3 Vedi il mio art. G d M 18 mar. 2008 Quanta storia c’è dentro San Rocco.
4 Via Rosselli allora era una stradina che passava sotto un ponticello di Via IV Novembre, utilizzata per recarsi senza dare scandalo al vicino Casino alla fine di Vico Roma, ora via Cav. di Vittorio Veneto.
5 Francesco Polizzi Paterno’, Marchese di Sorrentino che aveva sposato Giovanna e il cugino, nobile senza titolo, Francesco Zagarella Paternò che aveva sposato Francesca.
6 Il bel Palazzo di Filippo Giudicepietro era quello di fronte all’incrocio di via Lucana con via con Via XX settembre, l’antica Tre Vie.
7 Spogliato di tutto, è finalmente in restauro.
di Domenico Riccardi – tel. 311-793 – 333/*93.97.717- dom.riccardi@virgilio.it