Stamattina all’alba non pensavamo di trovare un cielo grigio e ventoso che ci avrebbe scaricato addosso una neve quasi pioggia per tutta la durata dell’escursione.
Durante il viaggio in macchina, ci ha lasciati a bocca aperta uno spettacolo di luci a Est, sul lato del mare. Il cielo era abbastanza sgombro e il sole fendeva le nuvole con i suoi raggi, come per lanciare un monito ed affermare la propria supremazia su ogni cosa. Sorpresi, guardavamo le strane forme in cui si raccoglievano le nuvole, come se fossero di plastilina, lavorata da mani giganti. Rocco dice che un cielo sereno non è interessante, mi ha ricordato Nicola.
Lungo la strada forestale, che a volte non si riconosce coperta com’è di neve, procediamo in fila indiana perché è più facile camminare sul solco lasciato da chi ci ha preceduti. Siamo in venticinque e naturalmente un poco il gruppo si sgrana.
Un gruppo di piccoli uccelli cinguetta e svolazza tra i rami alti a portata di obiettivo, stranamente confidenti.
I faggi spogli si agitano mossi dal vento e per il momento siamo abbastanza al riparo nel bosco dopo aver lasciato Vacquarro. Ma non al riparo dall’acquaneve, che rimbalza sul tessuto di gore-tex di cui è fatta la mia giacca, ma che comincia a prendere di mira gli occhiali. Gli occhiali da sole mi ripareranno dalla luce bianca della neve, ma poi si bagnano, si appannano e non mi fanno vedere quasi più. Meglio toglierli e andare avanti a occhi scoperti.
Non sono allenato. Sto spingendo le gambe, domani mi faranno male.
Dovevamo partire da Visitone per raggiungere Piano Ruggio attraverso il vallone di Zaperna lungo un percorso di saliscendi e invece eccoci qui a salire di 300 metri di quota fino a Piano Toscano. Se decidono di proseguire direttamente per Gaudolino io non li seguo, non ce la faccio.
Enzo, il nostro coordinatore di oggi, si consulta con Adriano e con Franco e decide che è meglio arrivare a Gaudolino dalla strada più facile, cioè dal sentiero che parte da Rummo. Abbiamo giusto il tempo di fare la foto di gruppo nel bagliore del cielo pieno di neve, tra i mulinelli bianchi sollevati dal vento che allo scoperto soffia più forte.
Sento le dita delle mani che mi fanno male. I guanti di felpa, economici e caldi, non vanno più bene quando si bagnano. Li cambio con i guanti tecnici che ho portato di riserva, ma con le mani bagnate sembrano diventati di una misura troppo piccola per le mie estremità.
A fatica riesco ad infilarmeli ed apro e chiudo le dita sperando che la marcia appena ripresa mi aiuti a pompare più sangue fino a riscaldarle. La temperatura è intorno a un grado.
In discesa con le ciaspole ai piedi procedo più velocemente degli altri e mi metto tra i primi nel sentiero immacolato e talvolta confuso dai rami, piegati a stringere lo spazio. E’ perché spero di riscaldarmi le mani camminando ad un ritmo più elevato.
Davanti a me solo le orme di un animale non molto grande che doveva procedere lentamente.
A Gaudolino ci aspetta un vento fortissimo che spazza il valico portando l’aria fredda della Calabria nelle terre di Basilicata. Ci fermiamo cercando riparo dietro un grande faggio, per raccogliere le forze come si fa prima di affrontare una prova piuttosto impegnativa. Approfitto per scattare le ultime foto alle facce dei mie compagni, bagnate dalla neve che al contatto con la pelle calda diventa acqua. Tra i peli bianchi della barba di Rocco si sono formati dei piccoli ghiaccioli bianchi. Sembra che le facce più sono sfinite e più sembrano felici.
Ci siamo ricompattati ed ora possiamo affrontare insieme il vento gelido che spazza il piano, restando uniti in modo che nessuno possa smarrirsi. Davanti a noi c’è solo un bagliore bianco, senza il disegno del rifugio che sappiamo trovarsi a tre-quattrocento metri da noi, né alcun’altra forma. Brancoliamo nella luce.
Affronto anch’io le raffiche che ci lanciano addosso cristalli di neve, le quali arrivano come punture di spilli. Ci sembra di avanzare in una tormenta, c’è chi prende per mano i compagni più spaventati e li aiuta a non fermarsi.
Finalmente arriviamo al rifugio, dove potremo ripararci e scaldarci un po’.
Una serie di piccole ciaspole gialle, tutte uguali, occupa tutto il lato anteriore del rifugio: dentro è pieno di persone che ci hanno preceduti. Si stringono ed entriamo anche noi, stipati come legna accatastata. Il camino è acceso e si leva un odore di carne arrosto. Ci offrono un po’ di pancetta fumante.
Vedo i denti di Enzo che quasi sbattono tremando: ha preso freddo anche lui nonostante abbia camminato più di tutti noi facendo in continuazione avanti e indietro tra la testa e la coda del gruppo. Mentre Franco si è preoccupato che nessuno rimanesse troppo indietro.
Sulla via del ritorno decido di togliermi le ciaspole: in discesa si fa meno fatica anche con la neve alta. E’ più divertente se qualche volta il piede affonda e poi riesco a sentire di più la neve.
Lasciamo la montagna e anche il maltempo alle nostre spalle, quasi come se ci fossimo risvegliati da un sogno.
Sono bagnato, infreddolito e stanco. Ma contento della giornata trascorsa sulla neve del Pollino, in compagnia di un bellissimo gruppo. Sono grato a quanti si sono spesi per tutti noi. A partire da Margherita che non ha voluto rinunciare all’escursione, anche se il suo ginocchio non le ha consentito di venire.
Cosimo