falco

A Garaguso con Scotellaro e Sinisgalli

La strada per raggiungere Garaguso passa dal bivio per Calle, dove Michele Mulieri fondò la sua Repubblica dei Piani Sottani. Avevamo pensato di fare una sosta al bar che lui aprì accanto al distributore di carburanti, ma è sempre chiuso e così dobbiamo accontentarci di un passaggio fugace.

Lungo una strada deserta, che attraversa lande ancora più deserte, fatte di colline dorate e da qualche ritaglio di verde intorno ai dirupi calanchivi, si staglia all’orizzonte la rotondità scura di Serra Boscone, meta di quest’oggi.

Michele ci aspetta nella casa paterna, in una giornata dal cielo incerto, coperto parzialmente di nuvole. Ha preparato ogni aspetto dell’escursione con puntigliosa cura e sollecitato l’accoglienza del popolo garagusano: stanno arrivando da Matera i falchetti naumanni.

Garaguso sembra protendersi dalla collina verso il cielo, con la sua torre dell’orologio, che scruta il territorio che le sta intorno in compagnia dei nibbi reali. Grandi ed eleganti, i rapaci volteggiano, planano, rompendo il filo dell’orizzonte; sospinti dal vento, che oggi soffia da Nord, sfidano le altezze vertiginose che dominano la valle della Salandrella, poi si abbassano come incuriositi dalle facce nuove appena giunte in paese.

La discesa ripida che porta al torrente, tra uliveti e greggi, scoraggia Gino, che rinuncia alla scarpinata e si rifugia nel perimetro dell’abitato, tra i vecchi stanchi sulle panchine e le grida dei bambini sgambettanti. In quattordici, noialtri scendiamo in compagnia di Giuseppe, l’unico rappresentante del paese, se si esclude Michele, la nostra premurosa guida.

Nessuno ha voluto sfilarsi gli scarponi e, con un balzo sulle acque che scendono verso Salandra, tutti sono pronti per la ripida salita che attraversa il bosco dell’Aliternosa. Lungo il tratturo che una volta conduceva a Oliveto, Pippo raccoglie un frammento di quei passi che una volta muovevano faticosamente: un pezzo di ferro di cavallo. Questa era anche la selva preferita dal duca Revertera, signore di Salandra e di Tricarico, che nel paese aveva recuperato il vecchio castello, diruto a causa del terremoto e trasformato in luogo di ristoro dalle fatiche venatorie.

Nell’Aliternosa abbonda l’alaterno, arbusto tipico della vegetazione mediterranea, che qui si accompagna alla fillirea, al leccio, al corniolo, all’orniello, all’acero minore e all’acero campestre. Man mano che saliamo, i lecci cedono il passo alle roverelle e ai cerri. Ai margini del tratturo resistono alcune orchidee piramidali, dal brillante color fucsia e alcuni gigli di san Giovanni, d’uno splendido arancio.

Una sosta poetica, segnata dai versi del poeta di Tricarico, ci aspetta alla sorgente dell’Aliternosa, che una volta alimentava una condotta che raggiungeva il paese e oggi è ridotta a un rivolo. Al di sotto c’è un fontanile che non disseta più gli animali domestici, ormai scomparsi su questo lato del torrente; ma è il mondo intero per una comunità di rane, rospi, tritoni e insetti d’acqua. Volpi, istrici, tassi lasciano in bellavista i segni di una presenza altrimenti discreta mentre i versi degli uccelli fanno da controcanto a quelli dei poeti.

Sinisgalli e Scotellaro hanno conosciuto la lentezza e il fascino aspro di queste terre povere, la bellezza silenziosa di questi paesaggi desolati e senza tempo, avvertendone la nostalgia struggente quando poi le hanno lasciate per raggiungere i grandi centri urbani dello sviluppo e della modernità.

A Serra Boscone, dove nei decenni trascorsi hanno sondato inutilmente il terreno per affondarvi le trivelle del petrolio, ora sondano il cielo con un’esile e lunghissima antenna. Apparentemente innocua, essa è presagio funesto di giganti mostruosi, che roteano le loro potenti braccia producendo un rumore costante e innaturale. Le pale eoliche stanno invadendo il paesaggio lucano, trasformandolo e deturpandolo fino a renderlo irriconoscibile. Se giungeranno fin quassù non avrà più senso muoversi come oggi per godere della bellezza della natura e delle parole dei poeti. Anche solo una escursione semplice non avrebbe più senso mentre ancora oggi possiamo fermarci sul punto più alto a guardare in alto la sella del Monte Croccia o, dall’altra parte, la sottile striscia blu del mare oppure ancora metterci a cercare, nell’ombra delle nubi, i paeselli lucani che giacciono sperduti in frantumi.

Udiamo il vento stormire tra queste fronde di roverella, chiudiamo allora gli occhi e ci lasciamo trasportare oltre la siepe per i vasti paesaggi dell’infinito che da sempre alberga nei sogni degli uomini.

In fila indiana tra l’erba alta e dorata, giungiamo alla fontana dell’Aucellara, dove una volta i cacciatori si appostavano per sorprendere gli uccelli che si fermavano a bere. Un’acqua freschissima e leggera disseta anche noi all’ombra di un grande frassino meridionale. Poi torniamo sui nostri passi, lungo la ripida discesa che ci riporta al torrente.

Michele è testardo e riesce a condurre il gruppo sul greto della Salandrella, a saltare sui ciottoli affioranti dall’acqua, sotto le alte pareti rocciose verticali, terra gialla e rapata. Nicola “Caron Dimonio”, immerso oltre le caviglie nella corrente che fluisce dolcemente a valle, agevola il passaggio dei viandanti sull’altra sponda. Mi tolgo le scarpe e mi bagno i piedi anch’io, muovendoli tra le alghe che si allungano sinuose.

I sabbioni di Garaguso sono un misto di sabbie e di conglomerati formatisi meno di un milione di anni fa e segnano il limite occidentale della fossa bradanica, mentre dall’altro lato del torrente il panorama geologico cambia, già interessato dalle rocce appenniniche. Ce lo racconta Michele, che studia geologia, dopo averci raggiunto con la bici.

L’ultima salita è su un antico acciottolato che conduce al paese da sud-ovest, passando per un cancello arrugginito oltre il quale fu ritrovata la cosiddetta dea di Garaguso, una statuetta di marmo di divinità femminile in trono, di fattura magnogreca. Probabilmente fu un dono votivo dei coloni della vicina Metaponto al santuario dedicato a Demetra, dea della terra e dei raccolti.

A Cerere, la Demetra romana, in tempi più recenti, all’inizio del Novecento, è dedicata la statua bronzea eretta in posizione allora periferica, beneaugurante per le messi prodotte dai terreni che la circondavano.

La gente di Garaguso ci accoglie con un sorriso, un po’ sorpresa per questi materani in controtendenza, che lasciano la città capoluogo e si spingono fino al piccolo paese, abbandonano le auto e tornano a camminare. Tarantella è un anziano contadino, animatore del carnevale del paese, cantante e ballerino. Ci offre la soppressata e la salsiccia fatta in casa e un bicchiere di buon vino, è un momento di vera squisita ospitalità.

Ma a chiudere la bella e fortunata passeggiata di Garaguso è la poesia dialettale di Gaudenzio Calciano, che ci guida per i vicoli del centro storico, soffermandosi negli angoli più suggestivi e dagli affacci più panoramici. La sua voce è musica che allevia la fatica di una lunga camminata nel cuore della Basilicata, a metà strada tra la montagna e le colline che portano allo Jonio.

Cosimo Buono