48. aironi

Il percorso non è ad anello

 Piuttosto è “a padella”, come si dice per il Sentiero Frassati che parte da Sasso di Castalda. Però, se osservo meglio il disegno del tracciato sulla cartina, sembra piuttosto un lazo o un albero contorto o anche un aquilone. Beh, forse l’aquilone ci azzecca di più, d’altra parte la seconda cima più elevata che abbiamo toccato si chiama Airone, tanto per restare in tema di ali e di volo.

Siamo a fine Dicembre e le giornate si fanno sempre più corte, bisogna fare attenzione a stare nei tempi stabiliti e così ho raccomandato a tutti di essere puntuali, avvertendo che alle sette comunque saremmo partiti, chi c’è c’è. Ma gli imprevisti non mancano mai e proprio Enzo ed io, i due coordinatori, abbiamo fatto ritardo, così il gruppo ha rischiato di partire senza la testa. E pensare che stamattina mi sono svegliato alla luce della luna, che splendeva pacifica nel cielo immenso, con il suo faccione rotondo e incompleto sul lato di Timmari: gobba a levante luna calante, ho pensato.

Poi il colore rosso bellissimo all’orizzonte di alcune nuvole nel cielo chiaro dell’aurora ha confermato che la visibilità sarebbe stata nitida, perfetta per scrutare lontano. Come facevano gli antichi Lucani attestati sul Monte Croccia e su altri insediamenti scelti sulle alture, in posizione strategica per controllare le vallate e non farsi sorprendere dall’arrivo dei Greci che dalla costa jonica si spingevano nell’entroterra.    

Quanti siamo, 19 o 22? Quelli di Potenza sono o non sono con noi? C’è Angela che arriva da Pisticci e che troveremo allo scalo di Grassano… No, ho sbagliato! Dovevo dirle Salandra! Ma faccio ancora in tempo ad avvisarla di scendere allo scalo giusto. C’è Rosa che arriva da Laterza, Vittoria e Giovanni da Putignano, Domenico da Santeramo con la new entry Patrizia, che indossa per la prima volta le ghette sulle scarpette bianche. C’è anche un altro nuovo del gruppo: Ettore, che arriva da Bari con un sorriso che spande entusiasmo e che ribattezziamo “Forrest Gump” perché con le gambe non sta fermo un attimo. Quanti forrest-ieri!

Mi aspettavo un terreno pesante, ma mi sbagliavo. Tutto sommato il percorso non è poi così impegnativo, anche perché le salite sono alternate al piano e alla discesa, occasioni buone per rifiatare. La prima salita ci porta sulla Tagliata, la forestale che taglia in due, appunto, Serra del Monte, in posizione panoramica sul Vallone del Salice, un affluente della Salandrella. La seconda ci porta sul Monte Malerba, a 1083 metri, con la scalinata scavata nell’arenaria, i disegni scolpiti dal vento e il boschetto di agrifogli dalle dimensioni arboree, serbatoio per la cima del Maggio di Accettura. La terza porta ai ruderi di Gallipolis, che nel Medio Evo erano mura e scale e case, abbandonate poi al bosco insieme al nome. La quarta risale il fianco nord dello stesso Malerba per raggiungere il Lago Cirminale, dove le fate hanno nascosto un manipolo di abeti, giganti che si specchiano nel silenzio dell’acqua.  Solo Vittoria lancia la sfida a quell’acqua dormiente, avanzando leggera, in equilibrio su un tronco che l’attraversa. La quinta, la più impegnativa, affronta la ripida salita della strada asfaltata per Oliveto, per poi proseguire fuori pista fino alla sommità del Monte Airone, dove la Madonnina degli scout prega in un’edicola ricavata dal ceppo di una grande quercia, schiantatasi al suolo forse per vecchiaia. La sesta ed ultima raggiunge la quota più alta: i 1151 metri del Monte Croccia, con le torrette di avvistamento e i farnetti centenari scampati al grande incendio del 1922. 

Il farnetto (Quercus frainetto) non è l’unica quercia diffusa nel bosco di Gallipoli, ma la sua presenza è certamente assai frequente. Una curiosità: il nome scientifico della pianta è frutto di un refuso di tipografia nella trascrizione dell’originaria denominazione che Michele Tenore le diede nell’Ottocento: Quercus farnetto. Da queste parti sembrano cambiare nome anche i luoghi, da una cartina all’altra: da Monte la Croccia a Monte Croccia, da Lapuzzone a Lapazzone, da Carvotto a Carbotto. 

Se voglio sapere quali specie di alberi sono presenti nel bosco di Gallipoli, in autunno forse è preferibile guardare ai loro piedi piuttosto che alla chioma. Lungo la forestale, infatti, c’è un tappeto incredibile di foglie che ho imparato a riconoscere: oltre al farnetto, c’è il cerro, l’acero trilobo, l’acero opalo, l’acero minore, il carpino, il ciavardello, il tiglio. Come gli uomini della città, gli alberi del bosco s’incontrano e si mescolano per strada.

Ogni uscita è un’occasione per osservare le varie specie nelle diverse stagioni e allenarmi al riconoscimento. Lo stesso vale per gli animali. Questa volta la regina dei boschi è lei, la vacca podolica, anche se oggi i campanacci sembrano scampanare meno del solito. Quando si accorge del tuo arrivo, distoglie l’attenzione dall’erba e ti guarda sorpresa, con le sue lunghe corna sinuose. A volte spunta dal verde delle fronde come un’apparizione. Come ormai accade ovunque, la presenza dei cinghiali è massiccia, evidente dalle “arature” del sottobosco e dalle tante impronte lasciate nel terreno molle, soprattutto intorno agli insogli. Come tutti gli animali selvatici sono elusivi e non si vedono facilmente. E’ stata una fortuna, allora, averne avvistato uno, anche solo per un attimo, a Tempa Castello, cogliendolo al momento dello scatto improvviso con cui è scappato agitando rumorosamente gli arbusti al suo passaggio. Poi ho trovato l’inconfondibile fatta di un istrice, ascoltato il verso garrulo di una ghiandaia e la voce sottile e graziosa di tanti piccoli uccelli, che purtroppo non ho ancora imparato a riconoscere. Dalla Croccia un grande rapace volteggiava lontano verso le guglie delle Dolomiti Lucane, forse un nibbio reale, assai frequente nelle aree interne della Lucania. 

Ogni volta c’è qualcosa da scoprire e da imparare, pur tornando nello stesso posto, sullo stesso sentiero. Grazie a Rocco e ad Enzo, conoscitori del territorio dagli occhi di falco, dalla Croccia ho visto Grassano e Grottole e oltre le sue pale eoliche persino Matera, con la parete di Tempa Rossa. Dal Malerba si intravedeva in lontananza il Pollino e dalle rovine di Gallipolis si scorgeva la prima neve caduta sul Volturino. Giuseppe Ferrara ci ha spiegato come funzionava l’osservatorio astronomico preistorico di Petra della Mola, con l’allineamento, realizzato dal passaggio radente dei raggi del sole nel primo pomeriggio del solstizio d’inverno, tra i megaliti e una croce incisa nella roccia. Enzo ci ha aggiornati sui saggi esperiti dagli archeologi in collaborazione con l’Università tedesca di Heidelberg. Poi ho scoperto che quegli strani piccoli fusti fioriti e ora secchi che spuntano dalle mura altro non sono che ombelichi di Venere. Peccato che non c’è stato il tempo per capire bene quale sia “la galleria” ai piedi del Malerba, di cui mi ha detto ancora Giuseppe.

Mi ha sorpreso vedere che tutto l’itinerario da noi percorso e dove ero stato appena lo scorso mese di ottobre con Enzo per il sopralluogo di preparazione dell’escursione, è adesso tutto segnato dai segnavia biancorossi del Cai. Giuseppe Ferrara mi ha chiarito che non è il Cai a realizzarli, ma lo stesso Parco in autonomia. Sono contento di aver fatto con i miei compagni almeno un tratto non segnato, la digressione, il “capriccio dello chef” del Monte Airone, scavalcando una linea elettrificata a basso voltaggio e il filo spinato per gli animali.

Resta solo da dire della pausa pranzo, la pausa attesa da tutti, quel momento in cui, forse più di ogni altro, si distinguono i gruppi trekking. Come sono diversi il Falco Naumanni e il Cai di Melfi! Il sacro momento del cibo rivela le persone, tanto simili e così diverse tra loro. Rosa ha dichiarato di aver dimenticato per la prima volta i panini a casa e Maria Luisa le ha ceduto volentieri il suo. Enzo ha riferito di aver lasciato la cucina piena di stoviglie da lavare. Domenico ha beccato qua e là per placare la curiosità e la fame. Vittoria mi ha fatto assaporare una squisita salsa rossa al peperoncino e poi ha distribuito a tutti un bicchierino di vov fatto in casa, profumatissimo, che anche Antonio ha voluto assaggiare. Dulcis in fundo, Maria Luisa ha aspettato la fine dell’escursione per condividere la sua ciambella al cioccolato, così come ha fatto Tonio con la crostata di mele cotogne sfornata dalla moglie.

Abbiamo avuto tra i sette e i nove gradi di temperatura durante il cammino. Prima che i nostri compagni si raffreddino quando il sole delle montagne anticipa il tramonto, con la macchina di Antonio, lasciata all’arrivo prima dell’inizio, noi autisti ci affrettiamo a riprendere e a riportare le altre auto distanti alcuni chilometri. Così il cerchio si è chiuso. Anche se il percorso non è ad anello.

Cosimo Buono