PARCO DI GALLIPOLI COGNATO, DA GARAGUSO A OLIVETO LUCANO

Domenica, 30 ottobre 2016

Coordinatore:

DIFFICOLTA’ E

Punto di partenza dell’escursione: Bosco Cesine di GARAGUSO
Partenza da Matera, Piazza Matteotti con auto proprie alle ore 7,30, ritorno ore 19,00 circa.
Inizio escursione: ore 9,00; conclusione ore 17,00
Lunghezza complessiva: 10 km.
Quota minima: 450 m., massima: 750 m.
Obbligatorie le scarpe da trekking per presenza di brevi tratti di sentiero scosceso e impervio.

Incontro pre-escursione: venerdì 29 ottobre, ore 20,00, presso sede associazione in Vico Lombardi, n. 3, Matera

E’ previsto un pic nic a base di prodotti tipici locali a cura della Pro Loco di Oliveto; per i partecipanti è richiesto un contributo di 10 euro, comprensivo anche della visita guidata al paese e dell’ingresso alla mostra dell’artigianato pastorale in legno.

DESCRIZIONE DEL PERCORSO

L’escursione partirà dall’area picnic delle “Cesine” (450 m. s. m.) a circa 1 km. dal centro abitato di Garaguso, in prossimità del “ponte del diavolo” della provinciale 277, per raggiungere a piedi Oliveto Lucano (540 m. s. m.), seguendo l’antico tratturo che collegava i due paesi prima della costruzione della strada carrozzabile.

In un comodo ed ampio piazzale saranno parcheggiate le auto, all’ombra densa e scura di grandi querce da rovere.

Percorreremo uno stretto sentiero in leggera salita interrotta da brevi discese in piccole e anguste vallette, tra i raggi obliqui e lievi del basso e pigro sole autunnale – speriamo sia una bella giornata! – che filtrano come pulviscolo dorato tra il fragile e diafano fogliame. Attraverso un fitto sottobosco di carpini, dalle chiome ad ombrello basse e frondose che si allargano a strati ai piedi dei tronchi svettanti di secolari esemplari di roveri, ci troveremo rapidamente sul crinale di una ripida costa, da cui si gode una spettacolare visione della valle della Salandrella con Garaguso sulla sommità della falesia a picco sul torrente.

Siamo giunti al limite del bosco delle Cesine, sulla linea del confine orientale del Parco di Gallipoli-Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane, area protetta che comprende i territori di Oliveto, Calciano, Accettura, Pietrapertosa, Castelmezzano e dunque abbraccia anche le zone più elevate, interne e incontaminate della provincia di Matera.

A questo punto del percorso, nell’angolo più suggestivo e romantico del bosco, dove l’atmosfera autunnale si presenta più magica e commovente, il poeta Gaudenzio Calciano (già apprezzato dai soci Falco Naumanni nel contesto della passata escursione del 2014 a Garaguso), reciterà un componimento lirico ispirato alla bellezza struggente e dorata dell’autunno dell’alta collina materana.

Proseguiremo il nostro cammino su un ampio tratturo in terra battuta; dopo avere costeggiato le strutture di un grande jazzo costruito in forte pendenza verso la Salandrella e aver raggiunto la località Serra Antica, un crinale ondulato che supera i 700 metri s. m., con presenza di vigneti, oliveti e seminati alternati a gruppi di grandi e secolari roveri e slanciati cerri, ci muoveremo su un sentiero in discesa, che presenta brevi tratti impervi e scoscesi, in direzione di Oliveto, il cui piccolo nucleo abitato (540 m. s. m.), sormontato dal campanile e dalla chiesa, si scorge, come un presepe o un piccolo nido, alle falde del Monte La Croccia.

Superato un ponticello in pietra su un piccolo torrente, ci troviamo in paese dove, accompagnati da una guida della attiva Pro Loco Olea, avremo modo di visitare il centro storico, i vicoli in pendenza, le piazzette, la chiesa Madre, le cantine (palmenti) con i tipici portali di quercia (portali di Bacco), da cui si espande nelle vie l’antico, schietto e aspro odore del mosto.

Nell’itinerario guidato ad Oliveto, è prevista anche la visita di una mostra dell’artigianato spontaneo in legno dell’area del Medio Basento, inaugurata sabato 22 ottobre con un convegno scientifico.

Ad ora di pranzo, ci sarà un momento di ristoro gastronomico, con prodotti tipici della montagna materana, sempre a cura della Pro Loco Olea.

Il ritorno alle macchine, nell’area pic nic Cesine, avverrà percorrendo gli stessi sentieri dell’andata.

ALLE SOGLIE DELL’ANTICA “LUCANIA”

CENNI SU AMBIENTE NATURALE, STORIA ED ANTROPOLOGIA DEI TERRITORI DI GARAGUSO E OLIVETO LUCANO

Garaguso e Oliveto, distanti l’uno dall’altro 9 km. con la strada asfaltata, e 4 o 5 seguendo il nostro percorso, fino al 1858, insieme a Calciano, costituivano un comune unico, con la sede del municipio ad Oliveto. Il bosco delle Cesine, con l’annessa area picnic, si trova a poche centinaia di metri a ovest di Garaguso, sui versanti scoscesi di un promontorio che separa la valle della Salandrella dalle strette gole dell’affluente Riciglio e che raggiunge la quota più elevata con la Serra Antica (circa 800 m. s. m) a ridosso di Oliveto Lucano.

Pareti di roccia giallastra (chiamate “cinti” nel dialetto locale), dorate ai raggi del sole, intagliate nella facies geologica del cosiddetto “Sabbione di Garaguso” (siti dei celebri rinvenimenti delle stipi votive e strutture murarie di importanti santuari magno-greci del V sec. a. C., dedicati a enigmatiche divinità femminili della fertilità, di cui il più pregevole e noto reperto è il “tempietto in marmo” della “dea di Garaguso”), si ergono a strapiombo sull’orrido fosso delle Fontanelle, sormontato dal “ponte del diavolo” della provinciale 277 Calle-Stigliano e fiancheggiano i greti sassosi del Riciglio e della Salandrella, in una fascia di transizione tra le montagne del Parco di Gallipoli Cognato e le colline del Medio Basento.

Sulla più alta e ripida di queste rupi si abbarbica il centro storico di Garaguso, ben visibile dal bosco delle cesine, con il campanile, il palazzo della residenza di caccia dei duchi Revertera, di recente restaurato, la chiesa di San Nicola di Myra sul bordo della falesia a picco sul torrente.

Ad addolcire e temperare l’asprezza del paesaggio, intorno alla gola rupestre, amene distese di folte ed impenetrabili foreste di gigantesche roveri, con sottobosco di carpini, aceri, frassini, cornioli, sostituite, sui versanti più freschi ed elevati, da alti e slanciati cerri (da cui si ricavano i “maggi” di Oliveto e Accettura), ricoprono le spalle ampie e scoscese di pittoresche alture chiamate “serre” (700- 800 m. di quota), appellativo generico seguito da denominazione propria e variabile (Serra Antica, Serra Cavallo, Serra Boscone etc.), che si elevano in imponenti e maestosi crinali dai profili dolci ed ondulati.

A proposito della presenza di boschi di alto fusto di cerri in questa zona e della sua influenza sull’immaginario collettivo, si deve ricordare che, nella montagna materana, Oliveto, insieme alla limitrofa Accettura con la sua più celebre analoga festa del “maggio” della Pentecoste, conserva molto vivo l’arcaico e misterioso rituale del cosiddetto “matrimonio” degli alberi: “il maggio e la cima”, che ricorda, per alcuni aspetti, le folkloriche feste primaverili del “maggio” o dell’ “albero della cuccagna” diffuse nell’Europa del freddo, dei monti e della miseria contadina, come nella tedesca Baviera e lungo il nostro Appennino, soprattutto in Toscana, Umbria, Marche.

Il rito di Oliveto si svolge nella prima metà di agosto. Nella prima domenica del mese, nel bosco di Monte Croccia o comunque in una zona della vasta foresta compresa tra Accettura, Pietrapertosa e Oliveto, viene abbattuto, dopo accurata selezione, un poderoso esemplare di cerro, alto fino a 30-40 metri che, privato della corteccia e dei rami, diventerà, con il suo fusto liscio, alto e dal diametro notevole, l’albero “maschile”, il “maggio”, il cui nome deriva probabilmente dal latino mas, maris, “maschio”, da cui il dialetto “masc”, con incrocio e confusione con maior “maggiore” e con il nome del mese primaverile.

Nella foresta di Gallipoli Cognato, sul versante nord del crinale del Monte Croccia, più fresco e umido, nei giorni successivi viene invece individuato e tagliato, anche qui dopo scrupolosa indagine, un frondoso agrifoglio, destinato a rappresentare, con la sua natura sempreverde, l’albero “femminile”, la “cima”.  La seconda domenica di agosto, la popolazione di Oliveto quasi al completo (circa 400 abitanti) si trasferisce sul Piano di Torcigliano, una vasta radura a 900 m. di quota, soleggiata ed esposta ad oriente, ai piedi della vetta del Monte Croccia (1151 m.), laddove gli ultimi campi coltivati cedono il posto alla vera grande foresta del cuore della Lucania e da cui si gode una veduta quasi aerea dell’intera provincia materana fino al Golfo di Taranto. In questa adunanza la gente, con danze e canti al ritmo di organetti, flauti e tamburi e scorpacciate “rituali” e beneauguranti di pasta al forno, carne arrostita e dolci con immancabili libagioni di vino, celebra l’incontro della “cima” e del “maggio”, i due alberi “futuri sposi” e il loro trasporto verso Oliveto.

Il “maggio”, una volta giunto in paese, viene innalzato, mediante un congegno di argani e corde, in posizione verticale al centro di un piazzale che somiglia ad un piccolo anfiteatro, in una valletta ai piedi della ripida pendice del Monte La Croccia, nel sito denominato “Dietro la niviera”. Alla sommità del “maggio” viene legata e quindi “congiunta” come “sposa” la “cima”, nel frattempo condotta trionfalmente in spalla e accolta con un tripudio di musiche e balli nella piazzetta del piccolo paese, dove le luminarie rischiarano le ombre della notte incipiente che, accompagnata da fresche folate di vento, si diffonde rapida e buia dai boschi circostanti.

Il 12 agosto, giorno di San Cipriano, patrono di Oliveto, avviene la fase culminante del rito, con la scalata, da parte dei giovani più robusti e audaci, dell’ormai celebre fusto di cerro, sormontato dalla chioma verde e globosa dell’agrifoglio, appena increspata dalla brezze dell’assolato pomeriggio estivo.

La superficie boschiva, sui rilievi intorno Garaguso e Oliveto, è interrotta, nelle zone pianeggianti sommitali o sui pianori a mezza costa, da aree coltivate a cereali, oliveti, vigneti ed orti, frutto dei disboscamenti seguiti, nel corso dell’Ottocento, alle quotizzazioni e messe a coltura delle terre espropriate ai duchi con le leggi eversive della feudalità, con ulteriori frazionamenti delle proprietà negli anni Cinquanta del Novecento, grazie alla Riforma fondiaria dell’Italia repubblicana (questa volta a danno dei nuovi  proprietari borghesi), che conferiscono al paesaggio, con l’alternanza di grandi e arcani boschi a moderne coltivazioni, un caratteristico aspetto a macchia di leopardo.

Particolarmente incisiva fu la quotizzazione succeduta alle leggi antifeudali nel territorio dei comuni uniti di Garaguso e Oliveto. Soprattutto a Garaguso, l’ostinazione dei decurionati (consigli comunali), succedutesi nel corso dell’Ottocento, nel citare in giudizio il Duca Revertera presso i tribunali e i ministri del re, per usurpazione di boschi e terreni agricoli, accuse fondate su ricerche di documenti d’archivio risalenti all’origine della presenza ducale nel nostro territorio, impedì alla casata nobiliare, nonostante la Restaurazione borbonica, di riprendere il possesso di gran parte del suo latifondo.

In tal modo si determinò la creazione di una piccola e media proprietà agricola fra la gente del posto, con il rovescio della medaglia del taglio di vaste porzioni di millenarie e bellissime foreste sugli altopiani e i versanti più ampi delle colline e delle serre intorno al paese, con conseguenti problemi di dissesti idrogeologici.

Il toponimo Cesine è diffuso con la variante Cesinale in tutta Italia, soprattutto centro-meridionale  e  prealpina (si pensi, ad esempio, al non lontano bosco Cesinale, in agro di Cirigliano); ricordiamo anche la riserva delle “cesine”, zona umida costiera tra Brindisi ed Otranto. Il nome sarebbe legato al latino caedere “tagliare” ed indica un bosco ceduo, vale a dire un’area boschiva, in genere demaniale o feudale , in cui era possibile, per la gente del posto, praticare il cosiddetto “legnatico”, cioè esercitare il diritto di “tagliare la legna”.

Il toponimo potrebbe però riferirsi anche ad una zona che ha subito il taglio o l’incendio della vegetazione arborea o arbustiva; infatti l’antico nome latino-osco “Caesina”  indica una zona disboscata per fini agricoli, una radura che interrompe la distesa forestale. In alcuni dialetti dell’Italia centrale si dice “fare le cesine” per indicare l’abbattimento di alberi. Per le Cesine di Garaguso, considerato che il bosco è presente e molto fitto, sembrerebbe valida la prima etimologia, quella del “bosco ceduo”, oppure il toponimo avrebbe origine dalla presenza di aree dissodate e messe a coltura effettivamente presenti nella zona più elevata del rilievo, al confine con la Serra Antica e l’agro di OIiveto.

Ormai siamo alle soglie di quello che è il territorio dell’antica Lucania, nome diffuso dall’antichità classica fino al medievale e grecizzante Basilicata, ad indicare la parte interna, collinare e montuosa, della regione, dalla tirrenica Paestum fino al corso del Bradano  (nella divisione augustea, l’area corrispondeva alla III regio Lucania et Bruttium, l’attuale Calabria, mentre Matera, al di là del Bradano, era compresa nella regio II Apulia et Calabria, l’antico nome del Salento).

Tuttavia, prima della conquista romana, il nome Lucania era riferibile al territorio più interno e montuoso dell’attuale regione, abitato dai bellicosi e indomiti Lucani con i loro avamposti di presidio militare dei confini orientali, ubicati appunto sulle alture visibili dal percorso della nostra escursione, sui pianori sommitali dei rilievi che dominano le vallate in direzione sud-est, da cui lo sguardo si spinge, nelle giornate serene, fino alla pianura metapontina e al Golfo di Taranto.

Dal crinale della Serra Antica, a metà strada tra Garaguso e Oliveto, si scorge imponente il profilo acuminato del monte La Croccia sulla cui vetta (1151 m. s. m.) affiorano i monumentali ruderi dell’acropoli dei popoli  lucani del V e IV secolo, con funzione di punto di osservazione e sorveglianza delle valli della Salandrella-Cavone e del Basento contro le incursioni dei Greci delle colonie, sito scoperto, tra fine Ottocento e inizio Novecento, dagli archeologi lucani Michele La Cava e Vittorio Di Cicco.

Un pò più a sud, sempre ben visibile dalla nostra postazione, sull’altura di Tempa Cortaglia (989 m. s.m.), tra la valle della Salandrella e quella del Misegna, al centro di un triangolo ai cui vertici troviamo Accettura, Stigliano e San Mauro Forte, si trova un altro sito fortificato di cui restano scarse tracce, appena visibili, di cortine murarie e abitazioni, con analoga funzione di punto di vedetta e difesa militare delle aree montuose interne da parte degli antichi lucani.

Se volgiamo lo sguardo ad Oriente, in direzione di Tricarico, al di là delle Serre di Calciano, oltre il Basento, sullo sfondo del lontano e brumoso tavolato dell’alta Murgia pugliese di nord-ovest, osserviamo la mole ondulata di Serra del Cedro, sulla cui sommità, a circa 1000 metri di quota, sorgeva un altro antico centro abitato fortificato, Civita di Tricarico, con analoghe funzioni di controllo del confine sudorientale dei Lucani lungo le valli del Basento e del Bradano.

Siamo dunque al limite orientale dell’antica Lucania in un punto di contatto, spesso conflittuale, tra i Lucani e le popolazioni magno-greche presenti nella fascia collinare interna fino alle colonie joniche di Metaponto, Eraclea, Siris. Si pensi, a tal proposito, al santuario della greca Demetra di Garaguso, ben diversa dalla dea Mefite dei Lucani delle vicinissime montagne, per comprendere la stretta e intensa coesistenza di culture e religioni differenti nell’area del Medio Basento in epoca protostorica.

Il nome Lucania è legato probabilmente al latino lucus, connesso a sua volta con lux “luce”, con il significato di “bosco sacro o radura dei boschi in cui penetra la luce”; la Lucania per gli antichi popoli italici era la “terra  della luce del sole che penetra nei boschi” , “delle radure illuminate dal sole”, così come in effetti si presenta tuttora la nostra regione sulle montagne interne e nello stesso comprensorio attraversato dall’escursione odierna, dove prati e pascoli soleggiati interrompono la fitta foresta.

In tal modo il nome Lucania, in quanto “terra delle radure piene di luce” avrebbe un significato in parte coincidente con quello del sopra citato e locale “cesine”, che indica più concretamente la “radura risultante dal taglio del bosco”. I tagli degli alberi e quindi l’alternanza di foreste a zone coltivate o incolte spesso considerate luoghi sacri, sono stati sempre una caratteristica del paesaggio della nostra regione fin da epoche remotissime, situazione che avrebbe determinato l’origine del nome Lucania e di quello del popolo italico di ceppo osco-sannita,  Lucani, che lo aveva abitato prima della conquista di Roma.

Carpe terram lucis: “Vivi la terra della luce” si legge su una stele di marmo, che ricorda nella forma e nel materiale il celebre “tempietto”, collocata da qualche mese all’ingresso di Garaguso a sottolineare le radici italiche e classiche della Lucania interna e del piccolo paese alle soglie dell’Appennino lucano, nelle cui immediate vicinanze, in un vigneto a strapiombo sulla Salandrella, è stata rinvenuta, circa un secolo fa, una delle più raffinate testimonianze della religione e dell’arte del mondo antico (v. I marmi di Garaguso, J. M. Moret, 2014).

Il nome Lucania potrebbe anche riferirsi o almeno esso sembra davvero coerente con una caratteristica delle aree interne della regione e riscontrabile soprattutto nel territorio da noi visitato, quando il tempo è buono, vale a dire il fenomeno della luce solare che si manifesta particolarmente intensa e radiosa non solo d’estate, ma anche nelle altre stagioni, per via di una concomitanza di fattori come il clima ventilato e secco a causa della notevole distanza dal mare e la presenza di grandi comprensori montani; tale luminosità sarebbe legata anche all’aria tersa e pulita per la scarsissima antropizzazione e alla prevalente esposizione dei più ampi versanti montuosi e collinari a meridione o oriente.

In autunno, i raggi, sempre più bassi sull’orizzonte, proiettano lame di luce dorata sulle spalle boscose e nelle viuzze dei paesi, nei recessi oscuri delle foreste e delle grotte, sulle falesie rocciose e sui calanchi, sulle cime dei monti, brillano obliqui sui pampini rosseggianti delle viti e sulle tinte calde delle fragili foglie trasparenti del bosco, per divenire sempre più tenui fino al solstizio d’inverno, quando ormai, la piccola e sbiadita sfera del sole che occhieggia debole e lontana tra i tronchi delle querce spoglie e i sempreverdi agrifogli del Monte La Croccia, nello splendore vitreo di un azzurro algido e invernale, infila il suo raggio luminoso, sottile e preciso come un laser, nelle fessure delle Pietre della Mola, auspicio della ripresa lenta e graduale del ciclo di rinascita della luce e della natura verso i futuri bagliori della primavera e dell’estate.

Siamo alle soglie dell’antica Lucania, abitata da popoli di cultura italica-indoeuropea. Ma siamo anche alle porte dell’Appennino, la spina dorsale dell’Italia, circondati da quel paesaggio tipicamente italiano che ritroviamo molto simile nelle aree interne di Abruzzo, Toscana, Umbria, Marche, Emilia Romagna.

In Lucania sentiamo familiari i testi dei poeti e scrittori della grande letteratura nazionale dell’Ottocento e Novecento. In questi luoghi, nell’alta collina materana, dove il bosco e la bellezza severa della natura convivono con i piccoli paesi, le vigne e gli oliveti, riscopriamo la poesia delle Langhe di Pavese e dell’autunno de I Promessi Sposi, allorchè il male, la violenza, l’ingiustizia, l’eterna miseria morale e materiale dell’uomo è riscattata dalla serenità della natura, dalla fiducia nei valori spirituali e autenticamente umani ritrovati nella quieta armonia del paesaggio e nel fascino discreto e idillico delle aree interne italiane.

“L’odore dei vini per le vie del borgo”, la luce rosseggiante del tramonto, “le stecchite piante” e il “cader fragile” delle foglie nelle foreste, negli orti, nei piccoli cimiteri, ci fanno amare i celebri versi di Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Cardarelli, ispirati all’autunno, alle struggenti ma dolcissime malinconie della pittoresca e morente stagione, sullo sfondo dell’Appennino,  dei monti e colli italiani, la cui contemplazione risveglia risonanze emotive e sentimenti delicati e profondi.

Sentiamo vivi e attuali ovviamente anche i toni nostalgici e meditativi dei nostri Scotellaro e Sinisgalli o il lirismo descrittivo di alcuni passi del “Cristo” di Levi, autori che hanno scoperto la poesia nascosta del paesaggio lucano, purtroppo ora violato e violentato, oltre che dalle ormai abituali trivelle petrolifere, da grotteche, fredde e seriali pale eoliche che continuano a spuntare sui crinali più caratteristici delle fasce collinari intorno al Bradano, Basento, Cavone, Agri, Sinni.

“I lucani hanno istinto poetico e vivace senso artistico”,  ha scritto Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia”, quando la nostra regione era ancora poco nota e usciva da una lunga storia di miseria ed emarginazione; forse è da ritenere che tale indole dei Lucani derivi anche dal fascino singolare e segreto dei grandi boschi, delle montagne, delle valli e lande solitarie che circondano gli esigui centri abitati, oltre che dalla fusione e contaminazione di culture ed etnìe diverse nel corso dei tempi, come afferma il citato scrittore viaggiatore.

Ormai sulla sommità del crinale tra Garaguso e Oliveto, alla quota di circa 800 metri, ci troviamo nella zona della cosiddetta Serra Antica, una cresta ondulata che fronteggia ad oriente il paese di Oliveto, ricoperta da boschi di cerri che si alternano a vaste aree disboscate e coltivate a cereali, vigneti, orti, oliveti, spesso con piccole costruzioni in pietra di fiume, riparo e abitazione dei quotisti, assegnatari delle terre della Riforma fondiaria degli anni Cinquanta del Novecento, sollecitata, in questo angolo di Lucania (come già accennato), dalle lotte per la terra dei contadini nullatenenti di Oliveto, che, di notte o alle prime luci dell’alba, negli anni del secondo dopoguerra, con bandiere e tamburi, marciavano ad occupare i terreni della grande proprietà dei De Luca di Accettura (subentrata, nell’Ottocento, al latifondo ducale colpito dalle leggi eversive della feudalità), della cui azienda agricola, ovviamente non più  attiva, rimane, sul punto più elevato della Serra Antica, una grande masseria fortificata in pietra, ormai abbandonata e fatiscente.

Il panorama si allarga con il crescere dell’altitudine; il monte La Croccia che si staglia nel cielo di ponente con le cime tondeggianti e gemelle, diventa sempre più grande con l’avanzare dei nostri passi; verso Oriente scorgiamo le colline di Grassano, Grottole, Tricarico, Salandra purtroppo deturpate da decine di pale eoliche, per intravedere al di là di esse la città di Matera, alla stessa latitudine della nostra posizione, ma distante una ventina di chilometri in longitudine est.

Il toponimo Serra Antica ha un’origine enigmatica, non ancora scientificamente indagata: alcuni dicono che il nome del sito sia collegato al fitto rinvenimento di reperti archeologici di età preistorica e protostorica, che fa considerare quel rilievo, con tutte le sue aree agricole e forestali, una zona ricca di vestigia di un remoto passato e, pertanto, a ragione, definibile “antica”.

Secondo una mia ipotesi, che necessita ancora di essere  convalidata mediante una ricerca d’archivio, il nome Serra Antica potrebbe essere collegato all’altro significato, quello spaziale, del latino antiquus, che indica non solo l’anteriorità nel tempo, ma anche nello spazio, soprattutto in relazione ai centri urbani antichi e medievali e alle relative cinte murarie, per cui esisteva in queste ultime una porta posteriore, porta postica (da cui, ad esempio, deriverebbe il nome della “porta Pistola” < porta posticola, di Matera) alle spalle della piazza centrale, forum, ed una anteriore: “porta antiqua”.

E’ da ipotizzare dunque che la serra antiqua, poi antica, si riferisse alla posizione anteriore del rilievo rispetto al nucleo medievale di Oliveto, alle mura del paese e ad una eventuale porta di accesso principale al borgo, secondo una topografia del resto tuttora riscontrabile dell’altura, che si staglia con le grandi e frondose querce dei pianori sommitali, alla breve distanza di qualche decina di metri in linea d’aria, di fronte alla piazza del piccolo paese ed al suo centro con il campanile, la chiesa principale e l’area del castello ormai non più esistente.

Michele Marra

Notizie utili

    • I partecipanti sono tenuti ad osservare strettamente le indicazioni dei coordinatori.
    • L’Associazione e i coordinatori non sono responsabili di eventuali infortuni e/o incidenti che dovessero occorrere ai partecipanti all’escursione, prima, durante e dopo la stessa.
    • In caso di maltempo, l’escursione potrà subire variazioni oppure essere rinviata ad altra data.
    • Il percorso potrebbe essere modificato dai coordinatori per sopravvenute esigenze organizzative.
    • Si ottimizzeranno al massimo gli equipaggi delle auto. Resta intesa la partecipazione alla spesa del carburante per chi non mette a disposizione la propria auto, secondo la prassi dell’associazione.

 :: REGOLAMENTO ESCURSIONI ::

Il Direttivo ha approvato e predisposto il programma annuale delle escursioni individuando, tra i soci capaci e disponibili, i responsabili sezionali cui attribuire il compito di realizzare le singole attività.
Il programma riporta, per ciascuna escursione, il nome o i nomi dei relativi responsabili.
Il responsabile dell’escursione può non ammettere i partecipanti che a causa della scarsa preparazione, dell’inidoneo abbigliamento, dell’atteggiamento tenuto o di quant’altro, potrebbero influire negativamente sullo svolgimento dell’escursione.
Il responsabile dell’escursione può modificare il percorso di un’escursione programmata o di spostare o annullare la stessa a causa di sopravvenute necessità.
Il Direttivo può non ammettere nell’elenco i nominativi dei responsabili sezionali che nell’organizzazione di escursioni abbiano dimostrato scarsa attitudine e che non diano sufficienti garanzie, impedendo agli stessi di potersi proporre per nuove escursioni.

: OBBLIGHI DEI PARTECIPANTI ::

– Partecipare alla riunione, quando prevista, per l’iscrizione all’escursione e versare la quota richiesta;
– Essere puntuali all’appuntamento;
– Essere fisicamente preparati ed in possesso di abbigliamento ed attrezzatura adeguati all’escursione;
– Attenersi esclusivamente alle disposizioni impartite dal responsabile non abbandonando il sentiero ed il gruppo se non preventivamente autorizzati e collaborando per la migliore riuscita dell’escursione;
– Prevedendo l’utilizzo della propria autovettura, presentarsi al raduno già riforniti di carburante.
– Conoscere il regolamento ed accettarlo.