La preparazione fisica nel trekking

Un piccolo manuale sulla preparazione fisica da seguire per non avere problemi nella pratica di questa disciplina.

Introduzione

Man mano che l’uomo vive sempre più per e con la macchina, il suo cervello si affida sempre più alle meraviglie di un’elettronica ogni giorno più perfezionata; egli dimentica, senza rendersene conto, di cercar di capire e di mantenere in funzione quella che resterà sempre la più meravigliosa delle macchine: il proprio organismo. La sola macchina capace di salvare se stessa, la sola capace di adattarsi a qualunque cosa, con tanta maggior facilità quanto più il suo proprietario avrà avuto cura di esporla, di comprenderla, di addestrarla, di metterla alla prova.
“Quel che ci manca è l’azione, il bisogno di un superamento diverso da quello intellettuale, l’investimento fisico, l’implicazione vitale. Occorrono situazioni straordinarie perché l’uomo superi se stesso e si scopra. Andare su e giù per il mondo in tutti i modi possibili, non è solo un tentativo per scoprire gli altri, ma è prima di tutto l’esplorazione di se stessi” (Xavier Maniguet). Le traversate dell’Oceano Atlantico in solitaria su barche sempre più veloci e pericolose, le scalate a mani nude, sempre più in alto, sempre più in fretta, le traversate del deserto in macchina, in moto, con la bicicletta o a piedi, l’esplorazioni un po’ folli sulle calotte polari o nel cuore dei vulcani, tutto questo denota che ci sono persone che hanno preso coscienza dello spreco che si compie nel rendere passiva una vita già piuttosto corta.
Il desiderio di svolgere un’attività a contatto con la natura, di ritornare a gustare il valore del tempo e dello spazio a misura d’uomo, spinge oggi un numero sempre crescenti di appassionati ad abbandonare, nel tempo libero, le città e ad avviarsi lungo un sentiero verso un lago, un alpeggio, un rifugio, la cima di una panoramica vetta.
Questa raccolta di informazioni preziose per escursionisti, avventurosi e chiunque, suo malgrado, si debba trovare in situazioni di emergenza, non si limita a fornire indicazioni pratiche riguardanti l’attrezzatura, le tecniche e l’equipaggiamento, ma intende contribuire anche alla formazione culturale dell’escursionista e dell’amante della natura che desidera instaurare un rapporto corretto e più gratificante con un mondo naturale e umano che, al ritmo del suo passo è ancora tutto da scoprire.
L’uomo è stato fatto nella la natura e la natura è stata fatta per l’uomo: non perdiamo l’occasione di poter vivere nella natura!

Preparazione fisica

Come per ogni altro sport (ad esempio lo sci di fondo, il ciclismo e la marcia), l’escursionismo può venire praticato con risultati migliori se in possesso di un adeguato allenamento. Il suo scopo è quello di permettere al nostro organismo di affrontare situazioni, come ad esempio la marcia in salita per svariate ore, per le quali non è preparato e che sarebbe in grado di superare solo a prezzo di grandi fatiche. L’allenamento diventa quindi necessario soprattutto per chi svolge un’attività sedentaria per tutta la settimana come succede alla maggior parte di noi.

Affrontare fisicamente preparati un escursione vuol dire innanzitutto sicurezza. La fatica è uno dei maggiori nemici dell’escursionista, tanto è vero che la maggior parte degli incidenti avvengono nella fase di ritorno, quando appunto l’attenzione è ridotta per la stanchezza. Ma anche per le camminate più semplici l’essere stanchi vuol dire non divertirsi, non apprezzare le bellezze della natura e dei luoghi attraversati.

Consigli pratici per l’allenamento

  • Inizio graduale sia come durata che come entità dello sforzo fisico, soprattutto dopo un lungo periodo di inattività fisica. L’allenamento va iniziato alcuni mesi prima, ad esempio in marzo-aprile per essere in buona forma a giugno. Per quanto riguarda la durata, nel caso ad esempio della corsa, conviene iniziare con periodi di cinque minuti alternati con periodo di cammino di circa 5-10 minuti per circa 30 minuti se la forma fisica è scarsa, oppure aumentare opportunamente questi tempi se le condizioni sono migliori. Tali tempi verranno poi gradualmente aumentati ogni tre-quattro sedute di allenamento.
  • Il migliore allenamento è quello specifico o il più attinente possibile allo sport praticato (marcia per marcia, nuoto per nuoto ecc.). Nel caso del trekking, tuttavia, anche sedute infrasettimanali in città di marcia, corsa, ciclismo sono molto utili, poiché sono sport che anch’essi mettono in movimento grandi masse muscolari e possono così indurre quelle modificazioni del nostro organismo che vogliamo ottenere con l’allenamento.
  • L’optimum dal punto di vista teorico per avere una forma ottimale sarebbe di praticare almeno tre sedute di allenamento settimanale, ma dato che ciò è ben difficile da farsi per tutti quelli che lavorano, ci si può accontentare di una soltanto.
  • Monitorare la frequenza cardiaca: essa deve rimanere al di sotto di 100-120 battiti al minuto. Lo sforzo, soprattutto all’inizio, deve essere moderato senza mai dare origine a mancanza di fiato o fatica eccessiva.
  • E’ buona norma anche eseguire delle sedute di ginnastica specifica per acquistare agilità e scioltezza e in particolare per rinforzare la muscolatura delle braccia e quella addominale e lombare, particolarmente deficitaria in tutti coloro che svolgono lavori sedentari.
  • E’ inoltre utile il supporto di un’alimentazione adeguata (sia come contenuto calorico e vitaminico che come digeribilità dei cibi) e delle comuni norme di igiene della vita (evitare l’abuso di fumo e di alcool).
  • E’ infine importante mantenere una buona attività fisica anche nella stagione autunnale e invernale (camminate, sci di fondo, corsa, ciclismo) che permetterà di mantenere costante il livello della forma atletica e soprattutto ci darà quel senso di benessere che crea un buono stato di efficienza fisica.

L’acclimatazione in montagna

Man mano che ci si innalza in quota in montagna, diminuisce la pressione atmosferica che deriva dalla somma di tutti i gas presenti nell’aria. Al livello del mare essa ha un valore di 760 mm Hg, in vetta al Gran Sasso (2914 m) decresce a 525 mm Hg, sul Monte Bianco risulta di poco superiore a 400 mm Hg, tocca infine il minimo sull’Everest con 240 mm Hg. A tale diminuzione di pressione si accompagna naturalmente una proporzionale diminuzione della pressione dell’ossigeno presente nell’aria, che per altro mantiene inalterato il suo valore in percentuale (circa il 21 % della pressione totale).

L’organismo umano entro certi limiti è in grado di adattarsi a queste variazioni allo scopo di limitarne le conseguenze.

  • Adattamento respiratorio: aumenta la profondità del respiro e della frequenza degli atti respiratori (iperventilazione). E’ un riflesso indirettamente provocato dall’ipossia, cioè dalla scarsa concentrazione dell’aria respirata e ha lo scopo di rinnovare più rapidamente l’aria a disposizione dei polmoni. Dopo qualche giorno di acclimatazione l’iperventilazione diminuisce, man mano che gli altri meccanismi di adattamento permettono una migliore utilizzazione dell’ossigeno disponibile.
  • Adattamento del sangue: se il soggiorno ad altezze elevate si protrae per qualche settimana, aumenta il numero di globuli rossi nel sangue allo scopo di favorire il trasporto di ossigeno.
  • Adattamento cardiaco: il cuore nei primi giorni (ad una quota superiore ai 1000 metri) aumenta la propria portata, pompa cioè una quantità di sangue maggiore, per stabilizzarsi successivamente a livelli di portata un poco minori, ma sempre superiori a quelli osservati al livello del mare. Solo ad altezze molto elevate (oltre 3500-4500 metri), si osserva una diminuzione della portata cardiaca.

Nei primi giorni di quota, il sistema di trasporto dell’ossigeno nell’organismo non ha la sua efficacia abituale. Ciò si traduce in una diminuzione della capacità di sforzo che può essere considerevole soprattutto se il soggetto è stato trasportato rapidamente in alta quota. L’acclimatazione, per alcuni giorni senza eccessivi sforzi, permette quindi un graduale ritorno dell’organismo ad uno stato vicino alla norma. Rimane tuttavia una diminuzione dello sforzo massimale, dovute a cause sia muscolari-metaboliche sia cardiache.

Accanto a queste alterazioni funzionali, vi sono talvolta nel soggiorno in alta montagna modificazioni della funzione psichica, come difficoltà di concentrazione, turbe della memoria e alterazioni dell’umore, che vanno da uno stato di lieve euforia sino alla depressione. Questi sintomi hanno in genere una regressione spontanea nel giro di qualche giorno. Col progredire dell’altezza raggiunta (oltre i 3000-3500 metri), si fa più frequente uno stato di depressione e apatia, con diminuita efficienza psichica e alterazioni del ciclo sonno-veglia.

Tutto ciò è però variabile da individuo a individuo ed è condizionato da numerosi altri fattori come il clima, l’isolamento, eventuali situazioni di pericolo ecc.

I soggetti sani, in quota (al di sopra dei 2500-3000), manifestano modeste alterazioni funzionali come il senso di palpitazione e di affanno. Queste alterazioni sono tanto più nette quanto più i cambiamenti di altezza sono importanti e rapidi, senza cioè periodo di acclimatazione. Il soggetto affetto da mal di montagna, si lamenta di sensazione di malessere generale o astenia intensa, cefalea, nausea e vomito, vertigini, modificazioni della personalità (irritabilità o abulia). A differenza dei comuni sintomi di ipossia prima citati, a insorgenza pressoché immediata, esiste in questo caso un intervallo di 6-34 ore tra l’ascensione in quota e l’esordio dei sintomi. La comparsa di segni iniziali impone l’arresto dell’escursione e le tempestiva discesa a valle, altrimenti la cefalea e gli altri sintomi possono peggiorare fino a gravi turbe dello stato di coscienza. Frequentemente, la componente respiratoria è prevalente, la sensazione di affanno si fa sempre più grave con comparsa di colorito bluastro alle labbra e alle mani (cianosi); si può avere allora il caso di edema polmonare da alta quota che se non trattato con tempestività porta alla morte. L’edema polmonare è favorito anch’esso dalla rapidità dell’ascesa e dall’entità del dislivello compiuto; guarisce rapidamente con la somministrazione di ossigeno e con la rapida discesa a quota inferiori.

La prevenzione nei confronti del mal di montagna e dei sintomi minori, oltre che, evidentemente, con un adeguato periodo di acclimatazione, può essere ottenuta con l’assunzione di un farmaco, l’acetazolamide (Diamox), blando diuretico che contrasta l’accumulo di composti alcalini dovuti all’aumento della respirazione. Il Diamox va somministrato per brevi periodi di tempo durante la salita e nei primi giorni di soggiorno in quota, alla dose di 250-500 mg al dì (consultare comunque il parere del vostro medico). Esiste sicuramente una suscettibilità personale al mal di montagna oltre alla mancanza di una progressiva acclimatazione durante la salita. L’assuefazione graduale alle grandi altezze per soggetti abituati a vivere al livello del mare, occorre ribadirlo ancora, è l’unica prevenzione efficace verso il mal di montagna, indipendentemente dall’aiuto dato dai farmaci.

L’ipossia, il freddo, lo sforzo fisico, l’aumento della respirazione possono anche alterare il sonno nelle prime notti in quota, provocando difficoltà nell’addormentarsi, frequenti risvegli, insonnia alla fine della notte con cefalea e nausea. Se si intende passare poche notti in alta quota il problema è relativo, anche perché non sembra che il disturbo dato dal non dormire influenzi significativamente il rendimento fisico. Diverso è il discorso per lunghi soggiorni per la possibile insorgenza di disturbi psicologici e fisici.

“Siate preparati nello spirito, per aver riflettuto in anticipo su ogni accidente o situazione che possa presentarsi, in modo da sapere la giusta cosa da fare al momento opportuno ed essere decisi a compierla”