Cappella sistina della pittura rupestre. Lo sguardo di San Michele, dipinto dal pittore dei fiori di Matera per le preghiere dei monaci benedettini e delle genti longobarde, era giunto fin quasi ai giorni nostri per vegliare sul sonno di un pastorello, intimorito dalla sua potenza espressiva. Pur dimenticato dai semplici e dai potenti, senza nemmeno la spada in pugno, era ancora capace di inquietarlo, in mezzo alle creature belanti, nascosto da un’ansa della gravina. Bastavano i suoi occhi sgranati.
Altri occhi, mondani, dissacranti, delle generazioni contemporanee lo hanno spogliato di ogni timore reverenziale sbiadendone progressivamente la luce ultraterrena. Istruiti analfabeti, barbari dello spirito. Nel cuore un simulacro di cianobatteri ne ostruisce il respiro, una rabbia insensata ne vìola la cura, l’avidità che trasforma il grano in grana li deturpa ed insieme tutto ciò rovina i colori delle vesti degli altri novantanove santi, creati con l’uomo che voleva sapere di sé.
Un gigante d’acciaio, mostro di velocità e potenza, si è improvvisamente fermato, impantanato sopra l’antica ansa. L’efficienza, la tecnologia, gli idoli esteriori si sono stranamente inceppati. Per incapacità ed incuria sopraggiunti. A che serve essere indignati? La linea è ferma e non riparte più.
Com’è possibile che una grotta remota, abbandonata dagli abitanti ristretti in città, abbia raccolto nell’uomo che non sa riflettere le risorse per fermare le acque inquinate, i crolli accelerati, la mano sacrilega? Da dove viene la luce che ha riaperto quegli occhi se in questo antro non penetrano nemmeno i raggi del sole? E persino le voci dei monaci, ancorché con artifizio, sono tornate e risuonano nelle orecchie dei visitatori ingiungendoli al silenzio.
Una manciata di uomini dedica le doti e la passione proprie ad una risurrezione miracolosa. E’ lo stesso miracolo degli orecchini di una bimba riesumati dal lontano passato con la devozione di chi la seppellì qui nei pressi.
Oggi avevamo voglia di camminare e arrivare come i giovani della Scaletta, divertirci pestando il fango, tra la gravina e la vigna. Ma nessuno di noi si è inchinato al cospetto di quello sguardo con gli scarponi infangati. Li ho visti, tutti i miei compagni, stupefatti, muoversi in punta di piedi, pellegrini scalzi e contenti.