Se bastasse fare un nodo per ricordare!
Cioè non basta fare un semplice nodo, ci vuole il nodo giusto. Serve per legarsi all’imbrago in cordata.
Per fortuna c’è qualcuno che impara più in fretta di me e così all’imbocco del canalone della Niviera riusciamo a formare quattro cordate da tre, pronti per il pendìo innevato. Per fortuna la temperatura è abbastanza elevata per essere ancora inverno e così diventa quasi un gioco prendersela comoda per rifiatare e dar sollievo ai muscoli delle gambe contratti e doloranti.
Michele ha il viso stravolto, è arrivato di corsa e ora la fatica lo trattiene. Ma lui tiene duro e riprende a salire “le scalette” intagliate nella neve dai passi che l’hanno preceduto.
Le continue pause ci invitano a voltarci per nutrire gli occhi, con cautela perché sotto c’è una discesa piuttosto… veloce. Il Monte Raparo ci mostra la testa coperta di neve che si sta sciogliendo sotto il sole di marzo. La coltre bianca copre anche le cime più lontane del Volturino e del Sacro Monte di Viggiano mentre in basso spuntano i paesi dell’Alta Val d’Agri.
Sulla nostra cima sventola già la barba bianca di Rocco, che ci ha preceduti lungo il percorso più lungo ma meno ripido di cresta dal bosco Favino.
Una alla volta, le quattro cordate guidate da Pino raggiungono la cresta, che affilata si mostra adesso in tutta la sua lunghezza, dalla cima Santa Croce fino ai 1900 metri di Pizzo Falcone o Monte Alpi. Troppo affilata per questo vento che spira forte dalla valle del Sinni. L’invaso del Cogliandrino sembra facilmente raggiungibile a un tiro d’ali.
Ci incamminiamo nel vento sul filo di cresta, uno dietro l’altro sempre legati alla vita, con Pino che ci raccomanda di essere pronti a “gettarci” dall’altro lato nella malaugurata ipotesi che uno della cordata dovesse scivolare. La fila si muove sinuosa, incontro alle amate vette del Pollino che dominano l’orizzonte a Sud Est. Più sinuosa del bruco che incontriamo nella piccola piana più in basso, dove il sole di Mezzogiorno ha scoperto ampi spazi di terreno.
Sempre in discesa, ci infiliamo nella faggeta, con la neve che ci tende trappole ad ogni passo. Ne sa qualcosa Nicola che resta per alcuni secondi con la gamba bloccata fino al cavallo.
La pausa per nutrire la pancia la facciamo più giù, a un paio di chilometri dal rifugio dell’Armizzone, dove abbiamo lasciato le macchine. I posti a sedere dell’unica panchina appena scoperta dalla neve sono ora tutti occupati, ma c’è spazio tra le macchie di terra asciutta, ritagliate attorno agli alberi. E c’è spazio per nutrire il gioco delle palle di neve e il piacere di una sigaretta. La “risata” di un picchio nella pace della luce radente del pomeriggio nutre poi l’orecchio, dopo la colazione fatta stamattina all’alba nella via sotto casa, con il pettirosso che cantava al silenzio. Era l’inizio di una lunga giornata di sole e di neve, giocata a mettersi alla prova insieme.
Ora, stanchi, ridiamo e scherziamo, possiamo infine scendere nella piazza di Castelsaraceno per farci una birra e brindare alla prima alpinistica del Falco Naumanni.